DOMENICA DELLE PALME-PASSIONE DEL SIGNORE-ANNO B


Vangelo Commentato dai Padri

DOMENICA DELLE PALME-PASSIONE DEL SIGNORE-ANNO B

Vangelo di Marco 14,1-15,47

Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».
Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».
Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.
Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà. Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Egli disse loro: «Uno dei Dodi ci, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato.
E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Prendete questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti, In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto:
Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse.
Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dice- vano pure tutti gli altri.
Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu. Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne per la terza volta e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta». Appena giunto, gli si avvicinò e disse: «Rabbì» e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. Allora Gesù disse loro: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!

Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.
Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco.
I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: «Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”». Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose “Io lo sono!
E vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte.
Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: «Fa’ il profeta!». E i servi lo schiaffeggiavano.
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi usci fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricomincio a dire ai presenti: «Costui è uno di loro». Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto.

E subito al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei?». Ed Egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito.
A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e con- vocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero, La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «II re dei Giudei», Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloi, Eloi, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione gli domandò se era morto da molto tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Maria di Màgdala e Maria madre di loses stavano a osservare dove veniva posto.

CAPITOLO 14

VERSETTI 1-2

Era la Pasqua e gli azzimi dopo due giorni, e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano in che modo prenderlo con l’inganno e ucciderlo. Dicevano però: non nel giorno della festa, perché non ne venga forse un tumulto nel popolo.

GIROLAMO: Ora aspergiamo il nostro libro col sangue, come anche le porte della casa, e circondiamo con una corda scarlatta la casa dove preghiamo, e prendiamo nella nostra mano del filo scarlatto per legare Zara affinché possiamo narrare la vacca rossa uccisa nella valle. Sul punto di narrare dell’uccisione di Cristo l’Evangelista premette: Era la Pasqua e gli azzimi dopo due giorni.

BEDA: La Pasqua, che in ebraico si dice «Phase», non deriva dalla passione, come molti pensano, ma dal passaggio, in quanto lo sterminatore, vedendo il sangue sulla porta degli Israeliti, passava oltre e non li percuoteva. Oppure lo stesso Signore, prestando aiuto al suo popolo, passava sopra.

GIROLAMO: Oppure «Phase» significava passaggio, e Pasqua immolazione. Nell’immolazione dell’agnello e nel passaggio del popolo attraverso il mare o l’Egitto viene prefigurata la passione di Cristo e la redenzione del popolo dall’inferno, quando ci visita dopo due giorni, cioè con la luna piena dell’età matura di Cristo, affinché, senza conservare nulla in noi di tenebroso, mangiamo in una casa sola, la Chiesa cattolica, la cena dell’Agnello immacolato che ha portato i peccati del mondo, dopo aver preso la calzatura della carità e le armi della virtù.

BEDA: C’era questa differenza tra la festa di Pasqua e quella degli Azzimi, che la festa di Pasqua non durava che un giorno, il quattordicesimo della luna del primo mese: è in questo giorno che si immolava l’agnello pasquale. La festa degli azzimi, commemorazione dell’uscita dall’Egitto, al quindicesimo giorno della luna, succedeva immediatamente a quella di Pasqua, e, siccome durava sette giorni, andava fino al ventunesimo giorno del primo mese fino alla sera. Gli Evangelisti hanno l’abitudine di porre viceversa la Pasqua per la festa degli azzimi, e reciprocamente. È così che Marco dice: Era la Pasqua e gli azzimi dopo due giorni. E la ragione è che era comandato di non servire che dei pani azzimi, il giorno di Pasqua. E noi dobbiamo celebrare una Pasqua perpetua sforzandoci di passare da questo mondo all’altro.

GIROLAMO: Dai principi uscì l’iniquità in Babilonia. Essi si sarebbero dovuti preoccupare di preparare il tempio e di purificare, secondo il costume, i vasi per la manducazione dell’agnello; per cui segue: e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano in che modo prenderlo con l’inganno e ucciderlo. Morto il capo, tutte le membra languiscono: ecco perché quei miserabili volevano far morire il capo. Essi fuggono il giorno festivo che viene loro. Quale festa potrà esserci per coloro che hanno condannato e perduto la misericordia e la vita? Per cui segue: Dicevano però: non nel giorno della festa perché non ne venga forse un tumulto nel popolo.

BEDA: Come indicano le parole, ciò che essi temono non è una sedizione, ma che, soccorso dal popolo, Gesù sfugga loro.

TEOFILATTO: Cristo aveva scelto il momento della sua passione: vera Pasqua, egli voleva essere crocifisso a Pasqua.

VERSETTI 3-9

Gesù si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo pistico di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo. Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri! Ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse: Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona; i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, ma non sempre avrete me. Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, anticipando l’unzione del mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto.

BEDA: Il Signore, al momento di soffrire per tutto il genere umano, e di redimere tutte le nazioni con il suo sangue, dimora a Betania, cioè nella casa dell’obbedienza; per cui si dice: Gesù si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa giunse una donna.

GIROLAMO: Il cerbiatto, infatti, torna sempre al suo letto, cioè il Figlio, obbediente al Padre fino alla morte, ci chiede l’obbedienza.

BEDA: Dice poi di Simone il lebbroso non perché fosse lebbroso in quel tempo, ma perché, lebbroso prima, fu poi mondato dal Salvatore, rimanendo il nome di prima affinché apparisse la virtù del curatore.

TEOFILATTO: Sebbene i quattro Evangelisti parlino di questa donna e ricordino l’effusione del suo profumo, non bisogna credere che sia sempre la stessa, ma ce ne sono due che hanno ripetuto il medesimo fatto: l’una, di cui parla Giovanni, che è la sorella di Lazzaro, che nei sei giorni prima della pasqua unse i piedi di Gesù; l’altra, di cui parlano gli altri tre Evangelisti. Se poi farai bene attenzione, troverai che ve ne sono tre differenti: quella di cui parla Giovanni, quella di cui parla Luca e una terza di cui parlano gli altri due Evangelisti. Quella di cui parla Luca è detta meretrice e si dice che essa venne nel mezzo di una predicazione a gettarsi ai piedi di Gesù, mentre questa di cui parla Marco, e che e la stessa di cui parla Matteo, si dice che venne al momento della passione, e non bisognerebbe ritenere certo che si trattasse di una peccatrice.

AGOSTINO: Quanto a me, io non penso che in questi differenti passi sia questione di più donne, ma di una sola, Maria, la peccatrice che aveva in due circostanze diverse abbracciato i piedi del Salvatore. Una volta è quando, come riferisce Luca, avvicinandosi con lacrime e con umiliazione di sé stessa, meritò la remissione dei suoi peccati. È ciò che racconta Giovanni (11,2) e da cui egli fa precedere la sua narrazione della risurrezione di Lazzaro quando Gesù venne a Betania, e che egli ricorda cosi: «Maria era quella che aveva unto il Salvatore con dei profumi, asciugato i suoi piedi con i suoi capelli, e il cui fratello Lazzaro era malato». Ora questo stesso fatto, rinnovato dalla stessa Maria a Betania, non appartiene più alla narrazione di Luca, ma è riportato simultaneamente dagli altri tre Evangelisti. Che Marco e Matteo abbiano detto che essa sparse il suo profumo sulla testa, e Giovanni che essa lo sparse sui suoi piedi, ci fa comprendere da ciò che essa lo sparse non solo sulla testa, ma anche sui piedi del Salvatore. E se qualcuno si serve di questa circostanza, riferita da Marco, del vaso che fu rotto quando il profumo fu versato sulla testa, per dire che non poteva restare nel vaso rotto del profumo per i piedi, il cristiano potrà rispondergli che il vaso non fu rotto in modo che tutto il profumo venisse sparso, oppure che i piedi erano stati unti prima che il vaso venisse rotto, e in modo da restare tutto intero fino al momento in cui fu unta la testa.

BEDA: L’alabastro è una specie di marmo bianco, venato di differenti sfumature, che si suole usare ordinariamente per farne dei vasi per contenere profumi, a motivo della proprietà che si riconosce ad essi di mantenerli incorruttibili. Il nardo è un arbusto aromatico di una radice, si dice, molto grassa e sviluppata, ma di un ramo piccolo e fragile. Pur essendo grasso, questo arbusto ha un profumo come il cipresso; di un gusto aspro, con una foglia piccola e spessa, e il suo ramo termina in una spina. Coloro che compongono i profumi trovano dunque nel nardo due cose da celebrare, le foglie e le spighe; ed è di questo nardo che parla Marco dicendo: olio di nardo pistico di gran valore; in quanto cioè quell’unguento che Maria portò al Signore non era solo fatto dalla radice del nardo, ma anche dalle sue foglie e dalle sue spighe, e presentava di conseguenza più proprietà e più profumi riuniti insieme, cosa che lo rendeva molto più prezioso.

TEOFILATTO: Oppure, prendendo il greco che si può tradurre in latino con nardo pistico, bisogna intendere nardo fedele ossia senza alcuna mescolanza estranea e con tutta la sincerità del suo elemento primitivo.

AGOSTINO: Si può trovare una contraddizione fra la maniera di narrare di Matteo e di Marco che, raccontando, dicono che la Pasqua era due giorni dopo, e aggiungono immediatamente che Gesù era in quel momento a Betania, dove ebbe luogo questo fatto, e la maniera di raccontare di Giovanni, il quale dice prima che Gesù era a Betania sei giorni prima della Pasqua, e narra il fatto dopo. Ma quelli che sollevano questa difficoltà non comprendono che non è il fatto del profumo che Marco e Matteo hanno voluto far precedere da queste parole: «due giorni prima della Pasqua», ma che è ricapitolando che essi hanno raccontato questo fatto che ebbe luogo sei giorni prima di Pasqua.

GIROLAMO: In senso mistico, Simone è la figura innanzitutto dell’anima infedele e poi dell’anima fedele; e questa donna col suo vaso, della fede della Chiesa che dice (Ct 1,11): «Il mio nardo ha dato il suo profumo». Il nardo è detto un nardo fedele, vale a dire pistico e prezioso; la casa che è stata riempita dell’odore di questo profumo è il cielo e la terra. Il vaso che è stato rotto è il desiderio carnale che si rompe contro questa testa che rende tutto il corpo perfettamente unito, al momento in cui il capo dei cristiani si siede, ossia si umilia perché questa peccatrice credente possa toccarlo. Ella si eleva dai piedi alla testa, e discende mediante la fede dalla testa ai piedi, cioè va da Cristo alle sue membra. Segue: Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: Perché tutto questo spreco? Per sineddoche si dice uno per molti e molti per uno. E Giuda quello di cui qui si tratta, ed è questo disgraziato, già perduto nel suo cuore, che trova la sua perdita in ciò che dovrebbe essere la sua salvezza. È a un fico, che porta i frutti della vita, che egli sospende la sua corda per impiccarsi. La sua avarizia parla di un mistero di fede: poiché è la nostra fede che è comprata per trecento danari a motivo dei dieci sensi, sia interni che esterni, triplicati dal corpo, dall’anima e dallo spirito.

BEDA: Ciò che poi dice: ed erano infuriati contro di lei, va inteso non di coloro che amavano Cristo, ma di Giuda, espresso qui dal plurale.

TEOFILATTO: Oppure si può dire che erano più discepoli a biasimare questa donna, poiché essi avevano spesso udito il Signore raccomandare l’elemosina. In Giuda, invece, non c’era la stessa intenzione, ma l’amore del danaro e il turpe lucro. Per cui anche Giovanni ricorda lui solo, come colui che rimproverava la donna con fraudolenta intenzione. Dice poi: Ed erano infuriati contro di lei, esprimendo che si opponevano al suo desiderio e la coprivano di ingiurie e di obbrobrio. Ma il Signore li rimprovera di mettere ostacolo alla volontà di questa donna; per cui segue: Allora Gesù disse: Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella era venuta rendere omaggio, ed essi la respingono con delle ingiurie.

ORIGENE: Essi si dolgono dello spreco di questo profumato perché lo si sarebbe potuto si vendere a un gran prezzo per donarlo ai poveri. Tuttavia questi rimproveri non ci sarebbero dovuti essere, poiché era conveniente che il capo di Cristo fosse profumato con questa santa e ricca libagione; e ciò che esprime il Signore con queste parole: Ella ha compito verso di me un’opera buona. Questo esempio ci serve ancora oggi, a causa della gloria di cui è stato coperto, per esortarci a riempire la testa del Signore di opere preziose e odorifere, e così da meritare quella lode per avere fatto un’opera buona di cui la testa di Cristo è il fine. Finché siamo in questa vita noi abbiamo presso di noi dei poveri, degli uomini che hanno bisogno del concorso di coloro che hanno fatto progressi nell’amore di Dio e sono divenuti ricchi di saggezza divina. Ma niente può fare sì che questi ricchi della fede abbiano notte e giorno con loro il Figlio di Dio, ossia il Verbo della sapienza di Dio. Segue infatti: i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, ma non sempre avrete me.

BEDA: Mi sembra che parli così della sua presenza corporale, poiché non potrà essere con loro, dopo la sua risurrezione, come lo è adesso, nell’intimità e nella vita comune.

GIROLAMO: Ella ha compiuto un’opera buona verso di me. Infatti a colui che crede in Dio ciò viene imputato a giustizia. Una cosa è credere a Dio e altra cosa credere in Dio, cioè gettarsi tutto nelle sue braccia. Segue: Ciò che era in suo potere essa l’ha fatto, anticipando l’unzione del mio corpo per la sepoltura.

BEDA: Voi reputate una perdita quella di questo profumo, ma ha reso un dovere alla mia sepoltura.

TEOFILATTO: Ella ha anticipato, come condotta da Dio, l’unzione del mio corpo, come segno della sepoltura, con il che confonde il traditore come se gli dicesse: con quale coscienza confondi la donna che unge il mio corpo per la sepoltura e non confondi invece te stesso che mi conduci alla morte? Il Signore, dunque, conseguentemente fa due profezie: che cioè il Vangelo sarà predicato in tutto il mondo e che l’opera della donna sarà lodata; per cui segue: In verità vi dico che dovunque sarà annunziato, ecc.

BEDA: Bisogna notare che, come Maria ha conquistato gloria in tutto l’universo per l’omaggio che ha reso al Salvatore, così colui che non temeva di mostrarsi suo detrattore è stato considerato come un infame in lungo e in largo. Ma il Signore, che ricompensa il bene con una degna lode, tralascia, tacendo, le contumelie future dell’empio.

VERSETTI 10-11

Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava l’occasione opportuna per consegnarlo.

BEDA: L’infelice Giuda vuole compensare con il prezzo di vendita del suo maestro la perdita che egli giudica aver causato con quel profumo sparso: Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti per consegnare loro Gesù.

CRISOSTOMO: Perché mi dici la sua patria? Avrei preferito ignorare persino il suo nome. Il fatto è che c’era un altro Giuda di Giacomo, conosciuto sotto la denominazione di Zelota: è per separarlo da lui e per evitare la confusione di persone che lo designa così. Se non lo designa con l’espressione «Giuda il traditore» è per insegnarci che egli non sa che cosa sia un traditore e che egli evita ogni specie di accusa. Aggiungendo: uno dei Dodici, egli lo presenta come più colpevole; vi erano infatti altri discepoli in numero di settantadue, ma quelli non erano dei più intimi, non avendo con il Salvatore dei legami così stretti. Erano i dodici provati, erano il seguito del re: da questi ranghi uscì il cattivo traditore.

GIROLAMO: Era numericamente uno dei Dodici ma non lo era per il suo merito; lo era esteriormente, ma non nello spirito. Andò dai principi dei sacerdoti quando uscì, e Satana entrò in lui: ogni animale si congiunge al suo simile.

BEDA: La parola poi: si recò, mostra che non era stato in nessun modo chiamato dai principi, né trascinato da qualche necessità, ma che egli aveva formulato questo disegno per una libera scelta della sua anima criminale.

TEOFILATTO: E’ detto: consegnare loro Gesù, cioè per indicare loro in quale momento potevano incontrarlo tutto solo; poiché, a causa della folla, temevano di irrompere su di lui quando insegnava.

GIROLAMO: Promette di consegnarlo loro come il diavolo suo maestro aveva detto in precedenza (Lc 4,6): «Ti darò tutto il potere». Segue: Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Promettono del denaro e perdono la vita; egli riceve del danaro e perde la vita.

CRISOSTOMO: O follia, o piuttosto cupidigia del traditore! Poiché la cupidigia ha generato tutti i mali. E’ la cupidigia che trattiene le anime prigioniere, che le stringe con ogni specie di legami, che impone l’oblio dei mali e fa apparire l’alienazione dell’anima. Prigioniero di questa folle cupidigia, Giuda dimentica la sua vita comune con il Salvatore, quella tavola che li aveva riuniti, la sua autorità di maestro, i suoi consigli, le sue sante persuasioni; segue infatti: Ed egli cercava l’occasione opportuna per consegnarlo.

GIROLAMO: Ma non si trova mai l’opportunità dell’inganno senza che ciò comporti la sua vendetta qua o là.

BEDA: Vi sono ancora oggi molti che, pieni di orrore per il crimine di Giuda che tradisce il suo Maestro per danaro, giudicano questo crimine orribile e detestabile; tuttavia non cercano in nessun modo di evitarlo, disprezzano per dei doni i diritti della verità e della carità, diritti che non sono altro che Dio stesso.

VERSETTI 12-16

Il primo giorno degli Azzimi, quando immolavano la Pasqua, gli dicono i discepoli: Dove vuoi che andiamo e prepariamo perché tu possa mangiare la Pasqua? E manda due dei suoi discepoli e dice loro: Andate in città e troverete un uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo e dovunque entrerà dite al padrone di casa che il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi. I discepoli andarono e vennero nella città e trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua.

CRISOSTOMO: Nel momento in cui Giuda trattava del tradimento, gli altri discepoli erano preoccupati dei preparativi della Pasqua; per cui si dice: Il primo giorno degli Azzimi, quando immolavano la Pasqua, gli dicono i discepoli: Dove vuoi che andiamo e prepariamo perché tu possa mangiare la Pasqua?

BEDA: Il giorno degli azzimi era il quattordicesimo giorno del mese. Alla sera di questo giorno si celebrava la Pasqua: cioè si uccideva l’agnello dopo aver gettato via il lievito. È ciò che l’Apostolo spiega in questo modo (1 Cor 5,7): «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato». Sebbene non fosse stato che l’indomani, al quindicesimo giorno della luna, che egli fu crocifisso, fu tuttavia alla sera di quel giorno, nel momento in cui si immolava l’agnello, che egli consacrò l’inizio della sua passione e della sua immolazione dando ai suoi discepoli, per consacrarlo dopo di lui, il suo corpo e il suo sangue, e i Giudei si impadronirono di lui e lo legarono.

GIROLAMO: I pani azzimi, che si mangiavano con le erbe amare, con delle lattughe selvatiche, significano la nostra redenzione, poiché la passione del Signore fu amara.

TEOFILATTO: Con le parole Dove vuoi che andiamo? i discepoli ci insegnano che né il maestro né loro avevano una casa in proprio; se essi ne avessero avuta una, vi avrebbero condotto il loro maestro.

GIROLAMO: Dicono poi Dove andiamo? perché dirigiamo i nostri passi con la volontà di Dio. Il Signore indica presso chi vuole mangiare la Pasqua e, secondo il suo modo ordinario, come abbiamo notato sopra, invia due discepoli insieme: E manda due dei suoi discepoli e dice loro: Andate in città.

TEOFILATTO: Egli invia due dei suoi discepoli. Secondo la testimonianza di Luca sono Pietro e Giovanni. Egli li invia a un uomo sconosciuto per insegnare loro che egli poteva non soffrire se voleva. Infatti chi muove la mente di uno sconosciuto perché li riceva, che cosa non potrebbe fare degli altri? Ora, egli dà un segno per riconoscere la casa, quando dice loro: troverete un uomo che porta una brocca d’acqua.

AGOSTINO: Marco chiama questo vaso «lagena» e Luca «amphora». Il primo termine designa la specie di vaso che porta quest’uomo, e il secondo la sua forma: in entrambi i casi c’è la verità.

BEDA: La prova che la divinità era presente in lui è che, al momento in cui si tratteneva con i suoi discepoli, egli vedeva ciò che accadeva altrove; per cui segue: I discepoli andarono e vennero nella città e trovarono come aveva detto loro, e prepararono la Pasqua.

CRISOSTOMO: Attendevano non la nostra, ma quella dei Giudei. Infatti la nostra non soltanto l’ha istituita il Signore, ma è divenuto egli stesso questa Pasqua. Ma perché l’ha celebrata? Perché, «venuto sotto la legge, egli doveva salvare quelli che erano sotto la legge» (Gal 4,5), e fare così cessare la legge. Egli stesso la compì, e compiendola la fece cessare, affinché nessuno potesse dire che egli non poteva compierla per ciò che essa aveva di arduo e di difficile.

GIROLAMO: In senso mistico, la città è la Chiesa circondata dal muro della fede; l’uomo che viene incontro è il popolo dei credenti; la brocca d’acqua è la legge della lettera.

BEDA: Oppure l’acqua è il lavacro della grazia, la brocca o il vaso è un segno della fragilità di coloro che hanno portato al mondo questa grazia.

TEOFILATTO: L’uomo che porta la brocca d’acqua è colui che è stato battezzato. Colui che ha già il battesimo, seguendo le tracce della ragione, viene alla pace e gode del riposo in questa casa; per cui aggiunge: seguitelo.

GIROLAMO: Cioè colui che conduce in alto, dove c’è il riposo di Cristo. Il padrone di casa è l’Apostolo Pietro, a cui il Signore affidò la sua casa, affinché ci fosse una sola fede sotto un solo pastore. Il cenacolo grande è la grande Chiesa dove si narra il nome del Signore, e la Chiesa tappezzata è la varietà delle virtù e delle lingue.

BEDA: Oppure, questo grande cenacolo è la legge presa nel suo senso spirituale; poiché, uscendo dai limiti ristretti della lettera, ha ricevuto il Salvatore nei luoghi sublimi, nei luoghi più alti dello spirito. E di proposito che i nomi sia di colui che portava la brocca d’acqua sia di colti che fu l’ospite del Signore siano stati omessi, per esprimere che tutti coloro che lo vogliono possono celebrare la vera Pasqua, lasciandosi impregnare dai sacramenti di Cristo, e cercando di offrirgli un’ospitalità nel loro cuore,

TROLATTO: Oppure, il Signore della casa è intelligenza: è questa che fa vedere un grande cenacolo presentando dei pensieri elevati. Sebbene e questo cenacolo sia elevato, tuttavia non ha nulla della vanagloria e del gonfiore, ma è abbassato e reso pieno dall’umiltà. Lì, cioè in tale mente, si prepara la Pasqua di Cristo da parte di Pietro e di Giovanni, cioè all’azione e dalla contemplazione.

VERSETTI 17-21

Venuta la sera, venne con i Dodici, e stando a tavola e mangiando Gesù disse: In verità vi dico che uno di voi che mangia con me mi tradirà. Essi cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno per uno: Sono forse io? Egli disse loro: Uno dei Dodici, che intinge con me la mano nel piatto. E il Figlio dell’uomo se ne va, come è stato scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Era meglio per lui che non fosse mai nato.

BEDA: Il Signore, che aveva predetto la sua passione, predice anche il suo traditore, dando spazio alla penitenza, affinché, venendo a intendere che i suoi pensieri erano conosciuti, egli si pentisse di ciò che aveva fatto; per cui si dice: Venuta la sera venne con i Dodici, e stando a tavola e mangiando Gesù disse: In verità vi dico che uno di voi che mangia con me mi tradirà.

CRISOSTOMO: Dove risulta chiaro che, al fine di non renderlo più impudente ancora, egli non lo annunciava a tutti, e neppure taceva completamente, affinché non compisse più audacemente il tradimento sapendosi totalmente sconosciuto.

TEOFILATTO: Ma come mai facevano la cena sdraiati quando la legge ordinava di mangiare la Pasqua stando in piedi? È probabile che essi avessero cominciato a mangiare la Pasqua legale e che si fossero seduti quando egli cominciò a mangiare la sua Pasqua.

GIROLAMO: La sera del giorno indica la sera del mondo. È verso la undicesima ora che arrivano gli ultimi, che sono i primi a ricevere il denaro della Vita eterna. Tutti i discepoli del Signore rispondono nello stesso tempo ai del maestro, così come, perché vi sia armonia, rispondono allo stesso tempo e dando un medesimo suono le corde di una lira ben accordata. Per cui segue: Essi cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno per uno: Sono forse io? Uno solo, tranquillo e disteso per la sua passione del danaro, dice: «Sono forse io, Maestro? (Mt 26,25).

TEOFILATTO: Gli altri discepoli furono rattristati a causa della parola del Signore, perché, pur sentendosi estranei a questa colpevole intenzione, credevano tuttavia più a colui che conosce i cuori di tutti di quanto non credessero a sé stessi. Segue: Egli disse loro: Uno dei Dodici, che intinge con me la mano nel piatto.

BEDA: Cioè Giuda, il quale, mentre gli altri rattristati ritraggono le mani, mette col Maestro la mano nel catino. E poiché prima aveva detto: uno di voi mi tradirà, e il traditore persevera nel male, lo rimprovera più manifestamente; tuttavia non indica il nome proprio.

GIROLAMO: Dice però: Uno dei Dodici, come se fosse separato da essi. E così che il lupo separa dalle altre la pecora che vuole prendere, e questa pecora, uscita dal mezzo delle altre, si presenta da sola ai suoi denti. Giuda, che un primo e un secondo avvertimento non hanno potuto ritrarre dal sentiero del tradimento, intende l’enunciato della sua pena, affinché sia vinto dalla prospettiva del castigo, lui che non lo era stato per la vergogna del suo crimine; e ciò è quanto si aggiunge: E il Figlio dell’uomo se ne va, come è stato scritto di lui.

TEOFILATTO: In quanto si dice se ne va, si mostra che la morte di Cristo fu volontaria, e non necessaria.

GIROLAMO: Ma come vi sono molti che, sull’esempio di Giuda, fanno delle opere il cui risultato è utile, senza che esse siano per loro di alcuna utilità, il Salvatore aggiunge con ragione: ma guai a quell’uomo da cui il Figlio dell’uomo è tradito.

BEDA: Ancora oggi risente di questa maledizione quell’uomo che da malvagio si accosta alla mensa del Signore. Infatti costui, sull’esempio di Giuda, tradisce il Figlio dell’uomo non certo davanti ai Giudei peccatori, ma tuttavia ai peccatori suoi membri. Segue: Era meglio per lui che non fosse mai nato.

GIROLAMO: Cioè era meglio che egli restasse nascosto nelle tenebre del seno materno, poiché è meglio non esistere che esistere per i tormenti.

TEOFILATTO: Avendolo Dio creato per il bene dal punto di vista del suo fine, sarebbe stato meglio che esistesse se non fosse stato un traditore; ma, giunto a quel grado di malizia, era meglio per lui non essere esistito.

VERSETTI 22-25

E mentre mangiavano, Gesù prese il pane e benedicendo lo spezzò e lo diede loro e disse: Prendete, questo è il mio corpo. E prendendo il calice, rendendo grazie lo diede loro e tutti ne bevvero. E disse loro: Questo è il mio sangue del Nuovo Testamento, che sarà sparso per molti. In verità vi dico che non berrò di questo frutto della vite fino a quel giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio.

BEDA: Terminate le cerimonie dell’antica Pasqua, Gesù passa alla nuova, cioè sostituisce alla carne e al sangue dell’agnello il sacramento del suo corpo e del suo sangue. Per cui si dice: E mentre mangiavano Gesù prese il pane, per mostrare che egli era colui al quale il Signore giurò (Sal 109,4): «Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedeck». Segue: e benedicendo lo spezzò.

TEOFILATTO: Cioè rendendo grazie lo spezzò, cosa che facciamo anche noi aggiungendovi delle preghiere.

BEDA: Spezza egli stesso il pane che porge ai discepoli, per mostrare che la frazione del pane era l’effetto di un piano che aveva tracciato spontaneamente lui stesso. Egli benedice il pane per mostrare che questa natura umana che egli aveva preso per soffrire egli l’aveva riempita di una virtù divina congiuntamente con il Padre e lo Spirito Santo. Con la benedizione e la frazione del pane egli fece vedere che si era degnato di sottrarre alla morte l’umanità che aveva preso, per far risplendere la potenza di immortalità che era innata in lui e per insegnare che egli avrebbe risuscitato rapidamente questa umanità. Segue: E lo diede loro e disse: Prendete, questo è il mio corpo.

TEOFILATTO: Ciò che io vi do in questo momento e ciò che voi ricevete in questo momento. Il pane non è soltanto la figura del corpo di Cristo; esso è mutato realmente nel corpo di Cristo, dato che il Signore ha detto altrove (Gv 6,51): «Il pane che io vi darò è la mia carne». Tuttavia, a causa della nostra debolezza, la carne di Cristo non è visibile a noi. Il pane e il vino sono dei nutrimenti fatti a nostro uso, e se noi vedessimo la carne e il sangue non sopporteremmo di nutricene. È per questo che il Signore, accondiscendendo alla nostra debolezza, conserva le apparenze del pane e del vino, ma cambiando il pane e il vino nella realtà della sua carne e del suo sangue.

CRISOSTOMO: E ancora oggi Cristo è qui, e consacra la mensa che ha adornato. E non è l’uomo che cambia queste offerte nel corpo e nel sangue di Cristo, ma è Cristo stesso che è morto per noi. Le parole escono dalla bocca del sacerdote, ma la potenza e la grazia della consacrazione vengono da Dio. È questa parola, «Questo è il mio corpo», che consacra le offerte; e come la parola che dice: «Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra» (Gen 1,22) non è stata detta che una volta eppure ottiene il suo effetto in tutti i tempi per la generazione di tutti gli esseri, attraverso la mediazione della natura, così quest’altra parola, pronunciata una sola volta, dà la sua forza al sacrificio di tutti gli altari della Chiesa fino a oggi (cosa che si perpetuerà fino alla venuta di Cristo).

GIROLAMO: Misticamente, poi, il Signore trasfigura il suo corpo nel pane, che è la Chiesa attuale, ed è questo corpo mistico che si riceve per la fede, che trova la sua benedizione nella moltiplicazione delle membra, che è rotto dalle passioni umane, è dato mediante l’esempio, è ricevuto mediante l’insegnamento, è formato nel suo sangue con vino mescolato all’acqua: per l’uno siamo purificati dalle colpe, per l’altro siamo redenti dalle pene. È per il sangue dell’agnello che le case sono preservate dai colpi dell’angelo, ed è per l’acqua del mare Rosso che sono annientati i nemici, cioè i misteri figurativi della Chiesa di Cristo. Per cui segue: E prendendo il calice lo diede loro rendendo grazie. Per grazia infatti, non per i meriti, siamo stati salvati da Dio.

GREGORIO: Quando si avvicina alla sua passione, noi lo vediamo rendere grazie dopo aver ricevuto il pane. Rende dunque grazie colui che riceve i flagelli dovuti all’iniquità degli altri; e colui la cui vita non presentava nulla che potesse attirare la punizione elevava la sua voce con umiltà nella sua passione per benedire. Sopportando con uguaglianza d’animo le pene dovute alle colpe degli altri, egli ci insegna come dobbiamo comportarci nell’espiazione dei nostri peccati personali. Rendendo grazie nella sua passione, lui, l’uguale al Padre, ci mostra ciò che deve fare il servitore quando Dio gli manda la correzione.

BEDA: Come noi dobbiamo restare in Cristo e Cristo in noi, il vino del calice del Signore è mescolato con acqua; le acque infatti, secondo la testimonianza di Giovanni, sono i popoli. Non è permesso a nessuno di offrire l’acqua sola o il vino solo, affinché la sua offerta non sia una figura della separazione del capo dalle membra, oppure non esprima che Cristo ha potuto soffrire senza amore per la nostra redenzione, o che noi possiamo essere salvati o meritare di essere offerti a Dio senza unirci alla sua passione. Segue: e tutti ne bevvero.

GIROLAMO: Felice ebbrezza, sazietà salutare, che. quanto più copiosamente viene assunta, tanto più si degna di donare la sobrietà della mente.

TEOFILATTO: Alcuni dicono che Giuda non partecipò ai misteri, ma che uscì quando il Signore fece comunicare i discepoli. Altri pensano che egli gli presentò i santi misteri.

CRISOSTOMO: Cristo offriva il suo sangue a colui che andava a venderlo, affinché egli trovasse la remissione dei suoi peccati se avesse voluto rinunciare alla sua empietà. GIROLAMO: Giuda bevve, ma la sua sete non fu appagata; la sua sete del fuoco eterno non fu colmata poiché egli aveva partecipato indegnamente ai misteri di Cristo. Vi sono infatti nella Chiesa coloro che il sacrificio non monda, ma un pensiero insipiente conduce alle colpe, essi che si sono mescolati ai fetori fangosi della crudeltà.

CRISOSTOMO: Non vi sia dunque nessun Giuda alla tavola del Signore: questo sacrificio è un nutrimento spirituale. Ora, questo nutrimento spirituale è come quello corporale, che non fa che rendere più malato lo stomaco che esso ha trovato imbarazzato di umori contrari: se esso trova un’anima sporca di malvagità, la perde più per il vizio di chi la riceve che per la propria natura. Sia dunque pura la mente in tutti, puro il pensiero, poiché anche il sacrificio è puro. Segue: E disse loro: Questo è il mio sangue del Nuovo Testamento.

BEDA: A differenza dell’antico Testamento, la cui dedicazione fu consacrata con il sangue di capri e di vitelli, mentre il legislatore (Es 24,8) pronunciava, durante l’aspersione, queste parole: «Questo è il sangue del Testamento che Dio vi impone». Segue: che sarà sparso per molti.

GIROLAMO: Infatti non monda tutti. Segue: In verità vi dico che non berrò di questo frutto della vite fino a quel giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio.

TEOFILATTO: È come se dicesse: non berrò del vino fino alla risurrezione; chiama infatti regno la risurrezione, come se allora regnasse contro la morte. Ma dopo la risurrezione egli bevve e mangiò con i discepoli, provando loro così che egli era lo stesso che aveva sofferto. Il vino che egli bevve allora era nuovo, poiché egli lo bevve in un modo tutto nuovo e differente, non avendo più un corpo passibile, avente bisogno di nutrimento, ma un corpo immortale e corruttibile. Ecco la spiegazione di questo passo. La vite è il Signore, il frutto della vite sono i misteri e le intelligenze occulte che dà colui che insegna la scienza all’uomo. Nel regno di Dio, vale a dire nel secolo futuro, egli berrà con i suoi discepoli i misteri e la saggezza, rivelandoci e insegnandoci delle cose nuove che ora tiene nascoste.

BEDA: Oppure diversamente. Isaia afferma (5,7) che la vigna del Signore è la Sinagoga con queste parole: «La vigna del Signore degli eserciti è il popolo di Israele». E’ dunque al momento in cui egli si avvia verso la sua passione che il Salvatore dice queste parole: non berrò più del frutto di questa vite, poiché è come se egli dicesse: io non compirò più le formalità della legge, fra le quali queste cerimonie sacre dell’agnello pasquale occupano il primo posto; poiché ecco il momento della mia risurrezione, quel giorno in cui nel regno di Dio, elevato nella gloria della vita immortale, io gioirò con voi della salvezza di questo popolo rigenerato dalla sorgente della grazia spirituale.

GIROLAMO: Bisogna considerare che qui il Signore cambia la natura del sacrificio, ma non l’epoca del sacrificio. Non dobbiamo dunque mai celebrare la commemorazione della cena del Signore prima del quattordicesimo giorno della luna. Colui che celebrasse nel quattordicesimo giorno la risurrezione dovrebbe celebrare la cena all’undicesimo, cosa che non ha mai avuto luogo né sotto l’antica né sotto la nuova legge.

VERSETTI 26-31

E detto l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. E disse loro Gesù: Tutti vi scandalizzerete di me in questa notte, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma dopo che sarò risorto vi precederò in Galilea. Pietro gli disse: Anche se tutti si saranno scandalizzati di te, io non lo sarò. E Gesù gli disse: In verità ti dico che oggi, in questa notte, prima che il gallo abbia cantato due volte, tre volte mi rinnegherai. Ma egli diceva ancora di più: Anche se dovrò morire con te, non ti rinnegherò. E similmente dicevano anche tutti gli altri.

ILARIO: Come avevano reso grazie prima di bere, così rendono grazie anche dopo aver bevuto; per cui si dice: E detto l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. È per insegnarci a rendere grazie prima e dopo aver preso del cibo.

GIROLAMO: Questo cantico è anche una lode per il Signore, secondo questa parola (Sal 21,27-28): «I poveri mangeranno e saranno saziati; loderanno il Signore coloro che lo cercano. E tutti i ricchi della terra hanno mangiato e hanno adorato».

TEOFILATTO: Con ciò, cantando questo inno di azione di grazie nel momento in cui sta per essere tradito, egli ci mostra che gli era dolce morire per noi, e ci insegna a non rattristarci, ma a rendere grazie a Dio quando crediamo nella sofferenza per la salvezza degli altri, poiché egli nella nostra tribolazione opera la salvezza degli altri.

BEDA: Noi possiamo anche vedere, in questo cantico di azione di grazie, che egli, come riferisce Giovanni, rendeva grazie a suo Padre e pregava levando gli occhi al cielo per sé stesso e per i discepoli, e per tutti quelli che dovevano credere nel suo nome.

TEOFILATTO: Egli va verso la montagna, affinché, trovandolo in solitudine, lo si possa prendere senza tumulto. Se essi l’avessero preso in mezzo alla città, forse tutta la folla del popolo ne sarebbe stata turbata, e i suoi nemici avrebbero potuto trovare, in questa agitazione, una giustificazione impadronirsi di lui, come agitatore della folla.

BEDA: In senso mistico è assai notevole che il Salvatore conduca i suoi discepoli sul monte degli Ulivi, dopo averli fatti partecipare ai suoi misteri, ed e per insegnarci a servirci della nostra partecipazione ai sacramenti per elevarci alle virtù e ai doni dello Spirito Santo più sublimi; e per questa virtù e per questi doni che i nostri cuori sono consacrati dall’unione divina.

GIROLAMO: E’ sullo stesso monte degli Ulivi, dove è stato fatto prigioniero, che Gesù si eleva al cielo, e ciò per insegnarci che noi saliamo al cielo dal mezzo delle nostre preghiere, delle nostre veglie, delle nostre prove, quando non le respingiamo.

BEDA: Il Signore predice ai suoi discepoli la debolezza di cui stanno per essere vittime affinché, giungendo tale debolezza, essi non disperino della salvezza, ma siano liberi per il pentimento; per cui segue: E disse loro Gesù: Tutti vi scandalizzerete di me in questa notte.

GIROLAMO: Tutti cadono, ma non tutti giacciono: «Chi dorme, infatti, non getterà lontano il suo sonno per risuscitare?» (Sal 40,9). Cadere è carnale, ma giacere è diabolico.

TEOFILATTO: Il Signore permise che cadessero perché non confidassero in sè stessi, e per non sembrare di far loro questa predizione su una semplice apparenza introdusse questa testimonianza del Profeta Zaccaria: Percuoterò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse.

BEDA: Ciò è scritto con parole diverse nel Profeta Zaccaria (13,7), e in persona del Profeta si dice al Signore: «Percuoti il Pastore e le pecore saranno disperse». Il Profeta infatti chiede la passione del Signore e il Padre risponde alle preghiere dei suoi figli: «Percuoterò il Pastore». Il Figlio è mandato dal Padre ed è percosso, poiché egli si incarna e soffre.

TEOFILATTO: Il Padre dice: «Percuoterò il Pastore» probabilmente perché lo lascia percuotere. I discepoli sono chiamati pecore a causa della loro innocenza e dell’assenza in loro di malizia. Il Salvatore aggiunge infine la consolazione con queste parole: Ma dopo che sarò risorto vi precederò in Galilea.

GIROLAMO: E così che egli promette di risuscitare, per non lasciare spegnere la loro speranza. Segue: Pietro gli disse: Anche se tutti si saranno scandalizzati di te, io non lo sarò. Ecco un uccello senza ali che vuole elevarsi nell’aria, ma il corpo appesantisce l’anima e il timore del Signore è meno forte di questo spavento umano della morte.

BEDA: La promessa di Pietro viene dall’ardore della sua fede, la predizione del Signore dalla conoscenza divina dell’avvenire; per cui segue: E Gesù gli disse: In verità ti dico che tu oggi, in questa notte, prima che il gallo abbia cantato due volte, tre volte mi rinnegherai.

AGOSTINO: Marco racconta più lungamente ciò che il Signore predisse a Pietro, che cioè egli lo rinnegherà prima che il gallo abbia cantato, ed è per questo che sembra differente dagli altri in questa narrazione, agli occhi di coloro che non guardano abbastanza da vicino. Poiché la negazione di Pietro avviene in tre riprese differenti, ciò che dicono gli altri Evangelisti, che egli deve rinnegare tre volte prima del canto del gallo, sembra falso, se questa negazione ebbe luogo tutta intera dopo che il gallo ebbe cantato una volta. D’altra parte, se questa triplice rinuncia ebbe luogo prima che il gallo ebbe fatto intendere la sua voce, come poté Marco far dire al Signore: prima che il gallo abbia cantato due volte, tre volte mi rinnegherai? Il fatto è che, dal momento che questa rinuncia doveva iniziare a prodursi prima che il gallo ebbe fatto intendere ancora il suo canto, gli altri Evangelisti non vogliono che raccontare quando si produsse e iniziò questa rinuncia, vale a dire prima del canto del gallo. D’altra parte questa rinuncia era completa nell’animo di Pietro prima del primo canto. Marco, al contrario, rimarca con precisione gli intervalli fra le differenti rinunce.

TEOFILATTO: E ciò che dice deve essere inteso nel senso che il gallo non cominciò a cantare che quando Pietro ebbe fatta la sua prima rinuncia; le due ultime rinunce ebbero luogo fra il primo e il secondo canto del gallo, prima che esso facesse intendere il secondo.

GIROLAMO: Questo gallo, messaggero della luce, che altro è se non lo Spirito Santo, che mediante la voce dei Profeti e quella degli Apostoli ci ha chiamati alle lacrime amare dal mezzo della nostra triplice rinuncia, dai nostri cattivi pensieri su Dio, dalle nostre cattive parole sul prossimo, dai nostri attentati contro noi stessi?

BEDA: Le parole seguenti mostrano ancora meglio la fede di Pietro e l’ardore del suo affetto per il Signore; segue infatti: Ma egli diceva ancora di più: Anche se dovrò morire con te, non ti rinnegherò.

TEOFILATTO: Anche gli altri discepoli mostrarono un ardore intrepido; infatti segue: E similmente dicevano anche tutti gli altri; e tuttavia resistevano alla verità, che Cristo aveva predetto.

VERSETTI 32-42

E giunsero a un podere chiamato Getsèmani. E disse ai suoi discepoli: sedete qui finché prego. E prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò ad aver paura e ad angosciarsi. E disse loro: La mia anima è triste fino alla morte: rimanete qui e vigliate. Ed essendo avanzato un poco, cadde a terra e pregava che, se era possibile, passasse da lui quell’ora, e disse: Abba, Padre, tutto è possibile a te, allontana da me questo calice, ma non come voglio io, bensì come vuoi tu. E venne e li trovò addormentati e disse a Pietro: Simone, dormi? Non hai potuto vegliare un’ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole. E allontanatosi di nuovo, pregò dicendo le stesse parole. E ritornato una seconda volta li trovò addormentati. Infatti i loro occhi erano appesantiti e non sapevano che cosa rispondere a lui. E venne una terza volta e disse loro: Dormite ormai e riposatevi. Basta, è giunta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, chi mi tradisce è vicino.

GLOSSA: L’Evangelista, dopo averci mostrato il Signore che prediceva ai suoi discepoli lo scandalo di cui sarebbero stati vittime, ci riferisce la sua preghiera, preghiera che aveva come scopo, si crede, i suoi propri discepoli. E prima di tutto ci mostra il luogo della preghiera. E giungono a un podere chiamato Getsèmani.

BEDA: Ancora oggi ci viene mostrato questo luogo nel quale il Signore pregò, alla base del monte Oliveto. Ora, la parola Getsemani vuol dire valle feconda o valle della fecondità. Il Signore, pregando sulla montagna, ci insegna a non fare oggetto di preghiera se non le realtà sublimi; e pregando nella valle della fecondità ci insegna a custodire sempre nella preghiera l’umiltà e l’amore profondo dell’anima; egli stesso è morto per noi discendendo nella valle dell’umiltà e seguendo gli Slanci della sua feconda carità.

GIROLAMO: Ora, è in questa valle feconda che egli fu assalito da grossi tori. Segue: E disse ai suoi discepoli sedete qui finché prego. Cominciano a separarsi da lui nella preghiera coloro che si separano da lui nella sua passione; egli prega, ed essi dormono accasciati sotto il peso del loro cuore.

TEOFILATTO: Era suo costume ritirarsi tutto solo per pregare, per insegnarci a cercare nella preghiera il silenzio e la solitudine. Segue: E prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni. Egli non prende con sé che i tre discepoli che aveva preso sul monte Tabor, per rendere testimoni della sua tristezza coloro che aveva resi testimoni della sua gloria, e affinché di fronte alla sua tristezza comprendessero la verità della sua umanità. Per cui segue: e cominciò ad aver paura e ad angosciarsi. Poiché aveva preso tutta l’umanità, aveva preso tutte le impressioni naturali all’uomo, e per conseguenza la tristezza, l’angoscia, la paura naturale di fronte alla morte; poiché è naturale che l’uomo vada alla morte suo malgrado, ed è per questo che egli disse loro: La mia anima è triste fino alla morte.

BEDA: Come un Dio che si è collocato nell’infermità della carne, egli ci mostra la fragilità della sua natura, per togliere ogni motivo a coloro che rifiutano il mistero della sua incarnazione. Avendo ricevuto un corpo, egli doveva provare tutto ciò che era naturale a questo corpo: la fame, la sete, le angosce, la tristezza. Ma la divinità non deve provare mutamento per tali modificazioni.

TEOFILATTO: Alcuni hanno inteso questo passo nel seguente senso: io sono triste non perché devo morire, ma perché sono gli Israeliti miei compatrioti che vogliono crocifiggermi, e che per questo devono essere esclusi dal regno dei cieli.

GIROLAMO: Così apprendiamo a tremare in presenza del giudizio della morte, poiché non possiamo dire da noi, ma da lui: «Viene il principe di questo mondo, ma su di me non può nulla» (Gv 14,30). Segue: rimanete qui e vegliate.

BEDA: Il sonno che egli vuole impedire in loro non è il sonno ordinario, poiché non era il momento, avvicinandosi il combattimento, ma l’appesantimento dello spirito e il sonno dell’incredulità. Scostandosi un poco si prosterna con la faccia a terra, rendendo evidente l’umiliazione della sua anima con questa prostrazione del suo corpo. Per cui segue: Ed essendo avanzato un poco, cadde a terra e pregava che, se era possibile, passasse da lui quell’ora.

AGOSTINO: Egli non dice «Se puoi farlo», ma «Se è possibile», poiché Dio può fare ciò che vuole, e la maniera di esprimersi di Gesù si riconduce a questa: «Se lo vuoi». Affinché non si possa credere che esprimendosi così egli abbia negato una parte della potenza di suo Padre, egli mostra che queste parole, Se è possibile, devono intendersi della volontà di suo Padre, e non della sua impotenza. Egli aggiunge: Abba, Padre, tutto è possibile a te. Marco non si è accontentato di riportare la parola «Padre», ma ha aggiunto la parola «Abba», che è una parola ebraica che significa «padre»; e senza dubbio questo Evangelista ha riportato queste due parole aventi lo stesso senso poiché egli voleva mostrare che egli stava per soffrire questa passione di tristezza come rappresentante del corpo mistico che è la Chiesa, edificio di cui egli è la pietra angolare che riunisce insieme i due popoli, quello dei Gentili, che pronuncia la parola «Padre», e quello degli Ebrei, che dice «Abba».

BEDA: Per mostrare che egli è veramente uomo, domanda che il calice passi lontano da lui dicendo: allontana da me questo calice. Ma ricordando che egli è venuto per berlo, vuole mettere l’ultima mano all’opera per cui è venuto, e aggiunge: ma non come voglio io, bensì come vuoi tu, parole che possono essere intese in questo senso: se la morte può morire senza che io muoia secondo la carne, che questo calice passi; tuttavia, dato che ciò non può essere, che sia fatto come tu vuoi, e non come voglio io. Molti si rattristano dell’avvicinarsi della morte; che essi si comportino con rettitudine di cuore, facendo tutto ciò che possono per evitarla; ma se essi non lo possono, che essi pronunzino queste parole che il Salvatore ha pronunciato a causa nostra.

GIROLAMO: Egli ci insegna anche, con queste parole, a essere obbedienti fino alla fine ai nostri genitori, e a preferire sempre la loro volontà alla nostra. Segue: E venne e li trovò addormentati. Essi dormono nell’anima come dormono nel corpo. Tuttavia è solo a Pietro che si indirizzano i rimproveri del Signore, quando, andando dopo la sua preghiera verso i discepoli, li vede addormentati. Per cui segue: Simone, dormi? Non hai potuto vegliare un’ora con me? come se dicesse: tu che non hai potuto vegliare con me un’ora, come disprezzi la morte se disprezzi di morire con me? Segue: Vegliate e pregate per non entrare in tentazione, cioè di negarmi.

BEDA: Non dice: pregate per non essere tentati, poiché è impossibile che l’anima umana non sia tentata, ma non entrate in tentazione, cioè la tentazione non vi superi.

GIROLAMO: Si dice che entra nella tentazione colui che trascura di pregare. Segue: Lo spirito è pronto, ma la carne è debole.

TEOFILATTO: Come se dicesse: il vostro spirito è pronto a non rinnegarmi, e per questo lo promettete, ma la vostra carne è così debole che, se il Signore, grazie alla preghiera, non darà virtù alla carne, entrerete nella tentazione.

BEDA: Queste parole devono mettere un freno ai temerari che pensano di potere tutto ciò che essi immaginano. Ora, più noi confidiamo nell’ardore della nostra anima, più dobbiamo dubitare della fragilità della nostra carne. Tutto questo passo è diretto a coloro che non vogliono riconoscere nel Salvatore che una sola volontà e una sola operazione, mentre tutto ciò mostra in lui due volontà, la volontà umana che, a causa dell’infermità della carne, respinge la passione, e la volontà divina che vi si porta con la più grande prontezza. Segue: E allontanandosi di nuovo pregò dicendo le stesse parole.

TEOFILATTO: Ciò per affermare con la seconda preghiera che era veramente uomo. E ritornato una seconda volta li trovò addormentati; tuttavia non li redarguisce severamente. Infatti i loro occhi erano appesantiti, cioè dal sonno, e non sapevano che cosa rispondergli. Impara da ciò la debolezza umana, per non promettere, gravato dal sonno, ciò che ci è impossibile. Per questo andò a pregare per la terza volta con la predetta orazione, per cui segue: E venne una terza volta e disse loro: Dormite ormai e riposatevi. Non si turba contro di loro per il fatto che dopo il rimprovero fanno peggio, ma ironicamente dice loro: Dormite ormai e riposatevi, poiché sapeva già che il traditore si avvicinava. E che abbia detto ciò ironicamente, appare dal fatto che aggiunge: Basta, è giunta l’ora, e il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani dei peccatori. Ciò diceva deridendo il loro sonno, come se dicesse: ora è tempo che dormiate, quando il nemico si avvicina. Poi aggiunge: Alzatevi; andiamo; ecco, chi mi tradisce è vicino. Non dice ciò affinché fuggano, ma perché vadano incontro ai nemici.

AGOSTINO: Oppure diversamente. Dal fatto che dopo aver detto: Dormite e riposatevi il Signore aggiunge: Basta, e poi è giunta l’ora, ecco, il Figlio dell’uomo sarà consegnato, bisogna intendere che dopo le parole Dormite e riposatevi, il Signore ha taciuto per un certo tempo, in modo che avvenisse ciò che aveva premesso; e allora dice viene l’ora; così interpone: Basta, poiché, cioè, avete riposato.

GIROLAMO: La triplice dormizione dei discepoli significa poi i tre morti che il Signore ha risuscitato: il primo in casa, il secondo al sepolcro, il terzo dal sepolcro. La triplice veglia del Signore ci insegna poi che, pregando per il passato e per il futuro, dobbiamo chiedere perdono anche per il presente.

VERSETTI 43-52

E mentre ancora parlava venne Giuda Iscariota, uno dei dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, da parte dei sommi sacerdoti e degli scribi e degli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno dicendo: Quello che bacerò è lui, prendetelo e conducetelo cautamente. Ed essendo venuto, subito accostatosi a lui disse: Ti saluto, Rabbì, e lo baciò. Cosi quelli gli misero le mani addosso e lo trattennero. Ma uno degli astanti, tratta la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli amputò un orecchio. E Gesù rispondendo disse loro: Come contro un brigante siete usciti con spade e bastoni per prendermi? Ogni giorno ero presso di voi nel tempio insegnando, e non mi avete preso; ma affinché si compissero le Scritture. Allora i suoi discepoli, lasciandolo, fuggirono tutti. Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, senza altri indumenti e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo.

BEDA: Il Signore, dopo che ebbe pregato per la terza volta ed ebbe ottenuto, per la colpa che il timore aveva fatto commettere ai discepoli, la grazia del pentimento, avanzò sicuro della sua passione davanti ai suoi persecutori, della cui venuta l’Evangelista dice: E mentre ancora parlava venne Giuda Iscariota, uno dei dodici.

TEOFILATTO: Ciò non viene detto inutilmente, ma per la maggiore deplorazione del traditore: poiché, pur essendo uno dei primi discepoli, si era lasciato andare al furore contro il Signore. Segue: e con lui una grande folla con spade e bastoni, da parte dei sommi sacerdoti e degli scribi e degli anziani.

GIROLAMO: Si appoggia infatti sulla forza secolare chi non si attende il soccorso da Dio.

BEDA: Giuda aveva conservato ancora qualcosa del rispetto del discepolo, non consegnando apertamente il suo maestro, ma prendendo il bacio come segno; per cui segue: Il traditore aveva dato loro un segno dicendo: Quello che bacerò è lui, prendetelo e conducetelo cautamente.

TEOFILATTO: Vedete la sua follia di credere di poter ingannare Cristo con il bacio e di farsi così passare come suo amico. Se eri suo amico, o Giuda, perché ti sei accostato con i nemici? Ogni cuore malvagio congettura male. Segue: Ed essendo venuto, subito accostatosi a lui disse: Ti saluto Rabbì, e lo baciò.

GIROLAMO: Giuda dà il segno del bacio con il veleno dell’inganno: così Caino offrì un sacrificio subdolo e riprovato.

BEDA: Egli lo chiama maestro con un animo pieno di invidia e con l’ardimento di uno scellerato, e dà un bacio a colui che tradisce. Il Signore riceve il bacio del traditore non per insegnarci a simulare, ma per non far sembrare che fuggisse di fronte al tradimento. Nello stesso tempo compiva questa parola (Sal 119,7): «Con quelli che odiano la pace ero pacifico». Segue: Ma quelli gli misero le mani addosso e lo trattennero.

GIROLAMO: Qui c’è Giuseppe venduto dai fratelli; e il ferro attraversò la sua anima. Segue: Ma uno degli astanti, tratta la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli amputò un orecchio.

BEDA: È Pietro che lo fece; egli è nominato da Giovanni. Egli lo fece con lo stesso ardore che portava in tutte le cose. Egli sapeva come Finees, punendo i sacrilegi, avesse ricevuto la ricompensa dovuta alla giustizia ed era stato rivestito del sacerdozio eterno.

TEOFILATTO: Marco tace il nome del suo maestro perché non sembrasse che ne faceva l’elogio. Facendo questo, Pietro fa intravvedere che i Giudei erano disobbedienti e increduli, e che non rispettavano le Scritture. Poiché, se avessero avuto l’orecchio della fede e dell’obbedienza alle Scritture, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria. E al servo del sommo sacerdote che egli taglia l’orecchio, poiché erano i principi dei sacerdoti i primi a violare le Scritture, come se non le avessero mai udite. Segue: E Gesù rispondendo disse loro: Come contro un brigante siete usciti con spade e bastoni?

BEDA: Come se dicesse: è senza motivo andare a cercare con bastoni e spade uno che si è consegnato lui stesso nelle vostre mani, e cercare nella notte, con l’aiuto di un traditore, colui che tutti i giorni ha insegnato nel tempio.

TEOFILATTO: Questa è una prova della sua divinità. Finché era nelle loro mani, insegnando in mezzo a loro nel tempio, essi non poterono impadronirsi di lui, poiché l’ora della sua passione non era ancora venuta. È quando egli lo volle che consegnò sè stesso, perché si adempisse questa parola della Scrittura: «Come un agnello fu condotto al macello senza gridare e senza aprire bocca, ma patendo volontariamente» (Is 53,7). Segue: Allora i suoi discepoli lasciandolo fuggirono tutti.

BEDA: Così si compì la parola del Signore secondo la quale tutti i suoi discepoli si sarebbero scandalizzati di lui in quella notte. Segue: Un giovinetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, senza altri indumenti: si sottintende sul corpo, poiché non aveva altro che un lenzuolo addosso. Segue: e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo da loro, detestando la loro presenza e i loro atti. Ma egli non fugge lontano dal Signore, di cui conserva, assente, l’amore che vive nella sua anima.

GIROLAMO: Come anche Giuseppe scappò dalle mani di una donna impudica abbandonando il suo mantello, così chiunque vuole fuggire dalle mani degli iniqui deve, abbandonando le cose del mondo, fuggire per mettersi al seguito di Gesù.

TEOFILATTO: Probabilmente questo giovane era della casa dove avevano celebrato la Pasqua. Alcuni pensano che fosse Giacomo, fratello del Signore, chiamato il giusto, che gli Apostoli stabilirono come vescovo di Gerusalemme dopo l’ascensione di Gesù.

GREGORIO: Oppure ciò viene detto di Giovanni, il quale, anche se dopo tornò alla croce per sentire le parole del Redentore, prima era fuggito atterrito. La lunga vita che egli visse dopo questi avvenimenti mostra che a quei tempi egli era un giovinetto. Ora, poté capitare che, sfuggito in quel momento dalle mani di coloro che volevano trattenerlo, egli fosse ritornato, dopo aver ripreso il suo vestito, a mescolarsi nella dubbia luce della notte al gruppo di coloro che conducevano il Salvatore fino all’atrio del pontefice, da cui era conosciuto, come ci riferisce lui stesso nel suo Vangelo. Come Pietro, che lavò con le lacrime del pentimento la colpa del suo rinnegamento, fu la prova della possibilità del ritorno alla grazia di coloro che hanno ceduto nella prova del martirio, così gli altri discepoli, che fuggirono al momento dell’arresto, sono un avvertimento, per coloro che non si sentono sufficientemente forti per sopportare i supplizi del martirio, della cautela che bisogna avere nel fuggire.

VERSETTI 53-59

E condussero Gesù al sommo sacerdote e si riunirono tutti i sacerdoti e gli scribi e gli anziani. Pietro seguì da lontano fino all’interno, nell’atrio del sommo sacerdote, e sedeva con i servi presso il fuoco e si scaldava. I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti attestavano il falso contro di lui e le testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di lui, dicendo:Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d’uomo. E le loro testimonianze non convenivano.

GLOSSA: L’Evangelista in precedenza aveva riferito in che modo il Signore era stato preso dai servi dei sacerdoti; ora inizia a narrare in che modo, nella casa del principe dei sacerdoti, fu giudicato degno di morte; per cui si dice: E condussero Gesù al sommo sacerdote.

BEDA: Il sommo sacerdote indica Caifa, che, come scrive Giovanni (18,13), «era pontefice in quell’anno». E Giuseppe Flavio attesta che egli aveva acquistato il pontificato dal Principe Romano. Segue: e si riunirono tutti i sacerdoti e gli scribi e gli anziani.

GIROLAMO: È allora che si formò questa «riunione di popoli simile a un gruppo di tori e di vacche». Segue: Pietro seguì da lontano fino all’interno, nell’atrio del sommo sacerdote. Infatti il timore ritrae, ma la carità trae.

BEDA: Giustamente seguiva da lontano colui che era sul punto di rinnegare: infatti non avrebbe potuto rinnegare se fosse restato vicino a Cristo. Segue: e sedeva con i servi presso il fuoco e si scaldava.

GIROLAMO: Egli si scalda nell’atrio con i servi, al fuoco. L’atrio del sacerdote è il mondo, i servitori i demoni, e chi resta con loro non può piangere i suoi peccati; il fuoco è il desiderio carnale.

BEDA: C’è un fuoco che è quello della carità, e di questo è stato detto (Lc 12,49); «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra». Discendendo sui credenti, questo fuoco insegna loro a lodare Dio con la varietà infinita delle lingue. C’è anche il fuoco delle passioni, di cui si dice (Os 7,4): «Tutti gli adulteri, il loro cuore è come un forno». È il fuoco che, acceso nel cuore di Caifa dal soffio dello spirito maligno, armava le lingue dei perfidi per la negazione e la bestemmia. Questo fuoco acceso nell’atrio, in mezzo al freddo della notte, era una figura di ciò che faceva nell’interno questo consiglio perverso; poiché è nel momento in cui l’iniquità abbonda che la carità di molti si raffredda. Pietro, preso momentaneamente da questo freddo, cercava di riscaldarsi al fuoco dei servi di Caifa, poiché egli cercava, in questo momento nella società dei malvagi, l’appoggio di un vantaggio temporale. Segue: Ma i sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte.

TEOFILATTO: La legge voleva che non ci fosse che un solo grande sacerdote; tuttavia tutti gli anni ve n’erano stati molti istituiti e destituiti dal Principe dei Romani. Chiama dunque sommi sacerdoti coloro che avevano riempito il pontificato durante il tempo che era stato convenuto e che erano stati poi destituiti. Ciò che essi fanno prima del giudizio è un’immagine del giudizio stesso, poiché essi cercano delle testimonianze per sembrare giusti nel condannare e nel perdere Gesù.

GIROLAMO: Ma l’iniquità ha mentito a sè stessa come la regina contro Giuseppe, e i sacerdoti contro Susanna. Ma il fuoco che non è alimentato cade; per cui segue: ma non la trovavano; molti infatti attestavano il falso contro di lui e le testimonianze non erano concordi. Ciò che infatti varia, viene ritenuto incerto. Segue: E alcuni si alzarono per testimoniare il falso. È costume degli eretici di cogliere l’ombra in luogo della verità. Gesù non ha affatto detto ciò che essi riferiscono, ma ha detto qualcosa di simile affermando del suo corpo che esso dovrà risuscitare dopo tre giorni.

TEOFILATTO: Infatti non aveva detto: Io lo distruggerò, ma: distruggete. E non «fatto da mani d’uomo», ma semplicemente «Tempio».

GIROLAMO: Disse anche: Lo risusciterò, indicando un essere vivente e un tempio che respira. È un falso testimone colui che riporta le cose che sono state dette in un senso diverso da quello in cui sono state dette.

VERSETTI 60-65

E levatosi il sommo sacerdote nel mezzo, interrogò Gesù dicendo: Non rispondi nulla a ciò che ti viene obiettato da loro? Ma egli taceva e non rispose nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogava e disse: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio benedetto? Ma Gesù gli dice: Io lo sono, e vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della virtù di Dio e venire sulle nubi del cielo. Allora il sommo sacerdote, scindendo le sue vesti, disse: Che bisogno abbiamo ora di testimoni? Avete udito la bestemmia: Che ve ne pare? E tutti lo condannarono come reo di morte. E alcuni cominciarono a sputargli addosso e a velare la sua faccia e a dargli degli schiaffi e dirgli: Profetizza. E i servi lo schiaffeggiavano.

BEDA: Più Gesù taceva di fronte a questi falsi testimoni, indegni di risposta, e davanti a questi preti sospetti, più il grande sacerdote, superato dalla sua collera, lo provocava a rispondere per poterlo accusare, qualunque fosse la sua risposta; per cui si dice: E levatosi il sommo sacerdote nel mezzo interrogò Gesù dicendo: Non rispondi nulla a ciò che ti viene obiettato da loro? Questo principe dei sacerdoti, irritato e impaziente non trovando materia per la calunnia, faceva così apparire, con i suoi movimenti esterni, la follia del suo cuore.

GIROLAMO: Ma il Dio Salvatore, che ha soccorso il mondo e gli ha portato la salvezza per la sua pietà, si lascia condurre senza dire nulla, come una pecora condotta al macello; e tace e non cerca di scusarsi; per cui segue: Ma egli taceva e non rispose nulla. La taciturnità di Cristo assolve l’apologia, cioè la scusa, di Adamo.

TEOFILATTO: Egli taceva, poiché sapeva che essi non avrebbero prestato alcuna attenzione alle sue scuse; ed è questo il senso della risposta che riporta Luca (22,67): «Se rispondo non mi credereste»; per cui segue: Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogava e disse: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio benedetto? Questa domanda del sommo sacerdote non. è per apprendere qualcosa, ma per trovare un motivo di condanna. Chiede dunque: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio benedetto? Infatti vi erano molti Cristi, cioè unti, come re e sommi sacerdoti, ma nessuno di essi era detto Figlio di Dio benedetto, cioè sempre lodato.

GIROLAMO: Colui che essi non sanno riconoscere da vicino, altri lo salutano da lontano, come Isacco, essendo cieco e non sapendo riconoscere Giacobbe sotto la sua mano, canta le cose future. Segue: Ma Gesù gli dice: Io lo sono, al fine di renderli inescusabili.

TEOFILATTO: Egli sapeva che essi non avrebbero creduto, tuttavia rispose loro affinché essi non potessero dire più tardi: «Se noi avessimo inteso qualche confessione dalla sua bocca, avremmo creduto». Sarà la loro condanna quella di avere sentito e non avere creduto.

AGOSTINO: Matteo (26,64) dice che Gesù rispose: «Tu l’hai detto»; Marco, facendogli rispondere Io lo sono, ci mostra che questa risposta: «Tu l’hai detto», significa la stessa cosa. Segue: e vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della virtù di Dio e venire sulle nubi del cielo.

TEOFILATTO: Come se dicesse: mi vedrete come Figlio dell’uomo che siede alla destra del Padre. Infatti la virtù qui indica il Padre. Egli non verrà senza il suo corpo, ma apparirà nel giudizio a coloro che l’hanno crocifisso, come lo videro sulla croce.

BEDA: Se la croce, o Giudeo, Cristiano, Pagano, ti si presenta in un disprezzo, una malattia, un’ingiuria, vedi il Figlio dell’uomo che sale per questi gradini fino al suo trono, alla destra del Padre, e sino a questa maestà che lo avvolge al momento in cui arriva tra le nubi del cielo.

GIROLAMO: Nel momento in cui il pontefice interroga il Figlio di Dio, è il Figlio dell’uomo che risponde, per insegnarci che i due non sono che un’unica e medesima persona. Intendetelo tuttavia in modo da non fare della Trinità una quaternità, ma nel senso che l’uomo, in Gesù Cristo, è in Dio e Dio nell’uomo. Egli dice che sarà assiso alla destra della virtù, vale a dire regnando nella vita eterna e nella virtù divina. E venire sulle nubi del cielo. Egli è salito al cielo in una nube; egli verrà nelle nubi; vale a dire che è salito al cielo nel suo corpo soltanto, nel corpo che egli ricevette dal grembo di una Vergine; ma egli verrà per il giudizio con la Chiesa molteplice nelle sue forme, la Chiesa che è la sua pienezza e il suo corpo.

LEONE PAPA: Caifa, per rendere più sensibile l’eccesso della gelosia che gli aveva fatto provare ciò che aveva inteso, si stracciò le vesti, e senza rendersi conto di ciò che significava questo atto insensato si privò così lui stesso dell’onore del sacerdozio, dimenticando il precetto dato al grande sacerdote (Lv 21,10): «Egli non si scoprirà deponendo la sua tiara e non straccerà le sue vesti». Infatti segue: Allora il sommo sacerdote, scindendo le sue vesti, disse: Che bisogno abbiamo ora di testimoni? Avete udito la bestemmia: Che ve ne pare?

TEOFILATTO: Il sacerdote si mostra così fedele a un costume giudaico. Era infatti costume dei Giudei stracciare i propri vestiti quando intendevano dire qualche cosa di triste, o impossibile da sopportare. Caifa straccia i suoi vestiti per far vedere che Cristo ha pronunciato una bestemmia grande e intollerabile.

BEDA: In una significazione misteriosa più elevata, questo grande sacerdote, che nella passione del Signore straccia il suo vestito sacerdotale, vale a dire l’efod, mentre i soldati non poterono giungere a stracciare il vestito del Salvatore nel momento della sua crocifissione, ci indica che il sacerdozio giudaico doveva essere stracciato a causa del crimine dei suoi pontefici, mentre la Chiesa, che è spesso chiamata il vestito del Signore, non potrà essere lacerata in alcun modo per la sua solidità.

TEOFILATTO: Il sacerdozio dei Giudei doveva essere stracciato, poiché esso aveva giudicato Cristo degno di morte; per cui segue: E tutti lo condannarono come reo di morte.

GIROLAMO: Lo condannarono come reo di morte affinché con il suo reato ci sciogliesse dal nostro reato. Segue: E alcuni cominciarono a sputargli addosso. È per lavare la faccia della nostra anima che questi sputi lo ricoprono; ed è per strappare il velo dei nostri cuori il velo che copre il suo volto. Con i colpi con cui fu colpito alla testa egli guarì la testa del genere umano, Adamo; e con gli schiaffi dati sulle sue guance egli merita la lode delle nostre labbra e l’applauso delle nostre mani (Sal 46,2): «Popoli tutti, applaudite con le mani!».

BEDA: Ciò che poi dicono: Profetizza, chi ti ha percosso?, lo fanno come una contumelia verso colui che voleva essere considerato Profeta dei popoli.

AGOSTINO: Bisogna ammettere che Gesù soffrì tutte queste cose fino al mattino nella casa del principe dei sacerdoti, dove in precedenza era stato condotto.

VERSETTI 66-72

Ed essendo Pietro in basso nell’atrio, venne una delle serve del sommo sacerdote e, avendo visto Pietro che si riscaldava, guardandolo disse: Anche tu eri con Gesù Nazareno. Ma egli negò dicendo: Non so né capisco che cosa dici. E usci fuori davanti all’atrio, e il gallo cantò. Di nuovo la serva, vedendolo, cominciò a dire ai circostanti che egli era uno di loro. Ma egli nuovamente negò. E poco dopo nuovamente gli astanti dicevano a Pietro: Veramente sei uno di loro; infatti sei Galileo. Ma egli cominciò a imprecare e giurare: Non conosco l’uomo di cui parlate. E subito il gallo cantò nuovamente. E Pietro si ricordò della parola che gli aveva detto Gesù: Prima che il gallo canti due volte, tre volte mi rinnegherai. E cominciò a piangere.

AGOSTINO: Tutti gli Evangelisti non riferiscono nello stesso ordine la tentazione di Pietro, tentazione che viene a prendere posto in mezzo a tutti gli oltraggi fatti al Signore. Luca riferisce prima questa tentazione, e dopo tutti gli oltraggi di cui abbiamo parlato. Giovanni comincia a narrare questa tentazione di Pietro e intercala qualcuno di questi oltraggi al Signore, e poi aggiunge che fu condotto da Caifa, sommo sacerdote, ricapitola e spiega la tentazione di Pietro di cui aveva cominciato a parlare. Matteo e Marco raccontano prima questi oltraggi a Cristo, e fanno venire dopo la tentazione di Pietro di cui si parla qui dicendo: Ed essendo Pietro in basso nell’atrio, venne una delle serve del sommo sacerdote.

BEDA: Che cosa vuol dire ciò, che noi lo vediamo dapprima tradito da una serva, mentre c’erano là molti uomini che avrebbero potuto benissimo riconoscerlo, se non perché noi vediamo peccare anche questo sesso nella passione del Signore, sesso che doveva essere riscattato dalla medesima passione? Segue: Ma egli negò dicendo: Non so né capisco che cosa dici.

GIROLAMO: Pietro, senza lo Spirito, ha ceduto alla voce della serva; con lo Spirito non cedette né ai principi né ai re.

TEOFILATTO: Fu provvidenzialmente che il Signore lo lasciò cadere, affinché egli non si lasciasse cadere, affinché egli non si lasciasse gonfiare, e nello stesso tempo perché si mostrasse misericordioso verso i peccatori, avendo Pietro sperimentato lui stesso la debolezza umana. Segue: E uscì fuori davanti all’atrio, e il gallo cantò.

BEDA: Di questo canto del gallo gli altri Evangelisti tacciono; tuttavia non negano il fatto, così come anche altre cose alcuni le passano in silenzio, mentre altri le narrano. Segue: Di nuovo la serva, vedendolo, cominciò a dire ai circostanti che egli era uno di loro.

AGOSTINO: Questa serva non è la stessa, ma un’altra, come dice Matteo. Si può anche ammettere che egli fu spinto a questa seconda negazione da due persone, dalla serva che ricordano Matteo e Marco, e da un’altra persona citata da Luca. Segue: Ma egli nuovamente negò. Pietro, come riferisce Giovanni, era già ritornato nell’interno dell’atrio, in modo che fu davanti al fuoco che fece il secondo rinnegamento. La serva aveva detto ciò che fu riportato più sopra non più a Pietro, ma a coloro che erano restati, in modo però che Pietro la intendesse; ed è ritornando in mezzo a loro e sedendosi di nuovo davanti al fuoco che egli negò per andare contro ciò che dicevano gli astanti. Si conclude con evidenza da tutto ciò che dicono gli Evangelisti che non è fuori dell’atrio, davanti alla porta, ma al di dentro, presso il fuoco, che Pietro fece questo secondo rinnegamento; solo Matteo e Marco, che ce lo mostrano mentre esce, omettono di dire che era rientrato, per brevità.

BEDA: Da questo rinnegamento di Pietro noi apprendiamo che Cristo è rinnegato non solo da chi nega che egli sia il Cristo, ma anche da chi, essendo cristiano, nega di esserlo. Il Signore infatti non dice: negherai di essere mio discepolo, ma: mi rinnegherai. Dunque ha negato Cristo negando di essere suo discepolo. Segue: E poco dopo nuovamente gli astanti dicevano a Pietro: Veramente sei uno di loro; infatti sei Galileo. Non che gli abitanti della Galilea parlassero una lingua diversa da quelli di Gerusalemme, poiché erano tutti Ebrei, ma ogni regione, ogni provincia aveva le sue maniere differenti di esprimersi, e non poteva sfuggire all’accento che le era proprio.

TEOFILATTO: Pietro dunque atterrito, dimenticando la parola del Signore che diceva (Mt 10,32): «Chi mi confesserà davanti agli uomini, anch’io lo confesserò di fronte al Padre mio», rinnegò il Signore; per cui segue: Ma egli cominciò a imprecare e giurare: Non conosco l’uomo di cui parlate.

BEDA: Quanto sono dannosi i consigli dei malvagi! Nega tra gli infedeli di conoscere quell’uomo che tra i discepoli aveva confessato come Dio. La Sacra Scrittura suole dichiarare il carattere delle cause designando il momento in cui hanno luogo. È così che Pietro, che rinnegò nel mezzo della notte, si pentì al canto del gallo; per cui si aggiunge: E subito il gallo canto nuovamente. E Pietro si ricordò della parola che gli aveva detto Gesù: Prima che il gallo canti due volte, tre volte mi rinnegherai. E cominciò a piangere.

TEOFILATTO: Le lacrime di Pietro lo riuniscono di nuovo al suo maestro per la forza della penitenza. Così sono confusi i Novaziani, che negano che si debbano ricevere come penitenti, per la remissione dei loro peccati, coloro che sono caduti dopo il loro battesimo. Ecco Pietro che è stato restituito al suo maestro dalla penitenza, lui che aveva peccato dopo aver ricevuto il corpo e il sangue del suo maestro. Le debolezze dei santi sono state scritte perché, se siamo caduti per incautela, abbiamo ricorso per il loro esempio, e speriamo di essere sollevati per la penitenza.

GIROLAMO: Misticamente, poi, la prima serva è la titubanza, la seconda il consenso, il terzo uomo è l’atto. Questa triplice negazione lavata dalle lacrime è il ricordo della parola di Cristo. Il gallo ci fa intendere la sua voce quando un predicatore eccita i nostri cuori alla compunzione mediante la penitenza; cominciamo a piangere quando siamo accesi internamente dalla scintilla della scienza; usciamo fuori quando gettiamo fuori ciò che eravamo dentro.

CAPITOLO 15

VERSETTI 1-5

Appena venuto il mattino i principi dei sacerdoti, con gli anziani e gli scribi e tutto il consiglio, avendo deliberato insieme, legarono Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato. E Pilato lo prese e lo interrogò: Sei tu il re dei Giudei? Ed egli rispose: Tu lo dici. E i sommi sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo: Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano? Ma Gesù non rispose più nulla, per cui Pilato si meravigliò.

BEDA: I Giudei avevano il costume di condurre legato al giudice colui che avevano condannato a morte; ed è per questo che, dopo aver narrato la condanna di Cristo, l’Evangelista aggiunge: Appena venuto il mattino i principi dei sacerdoti, con gli anziani e gli scribi e tutto il consiglio, avendo deliberato insieme, legarono Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato. Bisogna notare, tuttavia, che non è la prima volta che essi lo legarono, poiché alla sera, come riferisce Giovanni, l’avevano legato quando si erano impadroniti di lui nel giardino.

TEOFILATTO: Essi consegnarono Gesù ai Romani, ma furono consegnati essi stessi ai medesimi Romani, affinché si compisse questa parola (Sal 27,4): «Retribuiscili secondo l’opera delle loro mani». Segue: E Pilato lo prese e lo interrogò: Sei tu il re dei Giudei?

BEDA: Pilato, non interrogandolo se non sul fatto di essere o no il re dei Giudei, pronuncia la condanna dei Giudei, che non avevano potuto trovare nemmeno dei falsi pretesti contro il Salvatore. Segue: Ed egli rispose: Tu lo dici. Risponde così per dire il vero e affinché la sua parola non fosse accessibile alla calunnia.

TEOFILATTO: La sua risposta è dubbia, potendo significare: tu lo dici ma non lo sono. E nota che a Pilato, che di malavoglia pronuncia la sentenza risponde in parte, mentre non ha nulla da rispondere ai sacerdoti e ai principi, come giudicandoli indegni della sua risposta. Segue: E i sommi sacerdoti lo accusavano di molte cose.

AGOSTINO: Luca riferisce in questo modo questi supposti crimini di cui lo accusavano (23,2): «Cominciarono ad accusarlo dicendo: Abbiamo trovato quest’uomo che rivoluzionava la nostra nazione impedendole di pagare il tributo a Cesare, e dicendo che egli è il Cristo re». Segue: Pilato lo interrogò di nuovo: Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano?

BEDA: È un pagano che condanna Gesù, ma fa risalire la causa al popolo giudaico. Segue: Ma Gesù non rispose più nulla, per cui Pilato si meravigliò. Egli non volle rispondere per non attenuare il crimine, in modo che Pilato lo liberasse e venisse differita l’utilità della croce.

TEOFILATTO: Pilato si meravigliava poiché, essendo Gesù dottore della legge ed eloquente, e potendo polverizzare le loro accuse, non rispondeva nulla, sostenendo soltanto virilmente le accuse.

VERSETTI 6-15

Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta. Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere assieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio. La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che egli sempre le concedeva. Allora Pilato rispose loro: Volete che vi rilasci il re dei Giudei? Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba. Pilato replicò: Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei? Ed essi di nuovo gridarono: Crocifiggilo! Ma Pilato diceva loro: Che male ha fatto? Allora essi gridarono più forte: Crocifiggilo! E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

BEDA: Pilato offrì più occasioni per liberare il Salvatore: innanzitutto mettendo uno scellerato a confronto con un giusto; per cui si dice: Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta.

GLOSSA: Cosa che egli era solito fare per accattivarsi la grazia del popolo. Egli lo faceva soprattutto il giorno di Pasqua, giorno in cui il popolo affluiva a Gerusalemme da tutte le parti della Giudea. L’Evangelista, per mostrare maggiormente ciò che aveva di mostruoso la colpa di questa scelta dei Giudei, ci dice come Barabba fosse gravemente colpevole; per cui segue: Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere assieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio. Così noi vediamo qual era questa colpa enorme, Che era un omicidio; il modo in cui era stata commessa: con l’aiuto di una sedizione sollevata in tutta la città, e questa circostanza mette in luce la notorietà del fatto: Barabba era prigioniero con i sediziosi. Segue: La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che egli sempre le concedeva.

AGOSTINO: Non è una difficoltà che Matteo ometta questa circostanza, che Marco ricorda qui, che cioè furono essi stessi a domandare che venisse loro rilasciato un prigioniero. Infatti non importa se non ricorda una circostanza che un altro tace, Segue: Allora Pilato rispose loro: Volete che vi rilasci il re dei Giudei? Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ci si può chiedere quali parole Pilato abbia detto: se quelle riferite da Matteo o quelle di Marco. Sembra infatti una cosa diversa: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?», come dice Matteo (27,17), oppure «Volete che vi rilasci il re dei Giudei?», come si dice qui. Ma poiché dicevano Cristi i re, anche colui che disse: questo o quello, chiedeva manifestamente se volessero dimettere il re dei Giudei, cioè Cristo. E non interessa la sentenza che qui Marco abbia taciuto di Barabba, poiché voleva dire solo ciò che riguardava il Signore; e talvolta nelle loro risposte anche lui mostra sufficientemente chi volevano che fosse dimesso; infatti segue: Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba.

BEDA: Aderisce ai Giudei anche oggi la loro petizione che con tanta fatica impetrarono; poiché infatti, avendo scelto un brigante al posto di Gesù, al posto del Salvatore elessero un uccisore, giustamente persero la salute e la vita, e si sottomisero ai latrocini e alle sedizioni così che persero la loro patria e il loro regno, che amarono più di Cristo, e non ricevettero mai la libertà, né di corpo né di anima. Poi Pilato dà un’altra occasione di liberare il Salvatore, quando segue: Pilato replicò: Che farò dunque di quello che chiamate il re dei Giudei?

AGOSTINO: Ormai appare chiaro che, dicendo Re dei Giudei, Marco vuol dire la stessa cosa di Matteo, che dice Cristo: infatti solo i re Giudei venivano chiamati Cristi. Infatti in questo luogo secondo Matteo si dice (27,22): «Che cosa dunque farò di Gesù che è detto Cristo?». Segue: Ed essi gridavano: Crocifiggilo!

TEOFILATTO: Vedi dunque la cattiveria dei Giudei e la prudenza di Pilato, sebbene anche egli sia degno di condanna in quanto non ha resistito al popolo. Essi infatti gridavano Crocifiggilo! Egli tenta umilmente di liberare Gesù da quel pregiudizio; per questo lo interroga nuovamente, per cui segue: Ma Pilato diceva loro: Che male ha fatto? Infatti voleva cogliere l’occasione di sciogliere Cristo come innocente.

BEDA: I giudei, soddisfacendo alla loro infamia, non rispondono all’interrogazione del preside, per cui segue: Allora essi gridarono più forte: Crocifiggilo! affinché si adempisse quella parola di Geremia (12,8): «La mia eredità è stata fatta per me come un leone nella selva: levarono la voce sopra di me». Segue: E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba, e dopo aver fatto flagellare Gesù lo consegnò perché fosse crocifisso.

TEOFILATTO: Voleva soddisfare il popolo, cioè fare la loro volontà, e non il beneplacito della giustizia e di Dio.

GIROLAMO: Qui ci sono due capri: uno, emissario, viene lasciato libero nel deserto dell’inferno; l’altro viene ucciso come l’agnello per i peccati assolti. La parte del Signore viene sempre immolata; la parte del diavolo, che è il loro maestro, come è indicato da Barabba, viene precipitata senza freni nel tartaro.

BEDA: Non si può ammettere che Gesù fosse stato flagellato per ordine di un altro che non fosse Pilato; ciò che rendono evidenti queste parole di Giovanni (19,1): «Pilato prese Gesù e lo fece flagellare»; e bisogna credere che egli abbia fatto ciò affinché, saziati delle sue pene e dei suoi obbrobri, i Giudei desistessero dal desiderare la sua morte.

VERSETTI 16-20

I soldati lo condussero nell’atrio del pretorio e convocarono tutta la coorte. Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo. Cominciarono poi a salutarlo: “Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui. Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti.

TEOFILATTO: Questa detestabile condotta dei soldati che cercavano la gloria negli obbrobri senza misura di una vittima non faceva che mettere in risalto la loro vanagloria. Per cui si dice: I soldati lo condussero nell’atrio del pretorio e convocarono tutta la coorte, cioè tutto l’ordine della milizia, e lo rivestirono di porpora come un re.

BEDA: Poiché infatti l’hanno chiamato re dei Giudei, e il crimine che gli hanno rimproverato gli scribi e i sacerdoti è di aver voluto usurpare il potere sul popolo di Israele, lo fanno oggetto delle loro derisioni, e per questo, spogliandolo degli abiti precedenti, lo rivestono di porpora, distinzione regale degli antichi re.

AGOSTINO: Ciò che Marco riporta così: «lo rivestirono di porpora», Matteo (27,28) lo riporta in questi termini: «Lo avvolsero con un mantello scarlatto». È dunque di un mantello scarlatto che i soldati si servono burlandosi per simulare la porpora regale, tanto più che si tratta di una porpora molto simile allo scarlatto. Può darsi che Marco abbia voluto ricordare così qualche ornamento di porpora che poteva avere questo mantello scarlatto.

BEDA: Per diadema gli mettono una corona di spine; per cui segue: dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo. Come scettro regale gli mettono in mano una canna, così come porta Luca, e si prostrano davanti a lui come davanti a un re. Per cui segue: Cominciarono poi a salutarlo: Salve, re dei Giudei. E che i soldati lo abbiano adorato burlandosi come se si fosse falsamente attribuito la divinità risulta da ciò che segue: E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui.

GIROLAMO: I suoi obbrobri hanno fatto sparire i nostri obbrobri, i suoi legami ci resero liberi; è per la sua corona di spine che ci è stato conquistato il diadema del regno; dalle sue ferite siamo stati guariti.

AGOSTINO: È verosimile che ciò non sia stato citato nel suo luogo da Marco e Matteo e che ciò non abbia avuto luogo nel momento in cui Pilato consegnò Gesù perché fosse crocifisso. Quanto a queste parole: Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, bisogna riportare alla fine, quando già lo si conduceva al luogo della crocifissione.

GIROLAMO: In senso mistico, Gesù è spogliato dei suoi vestiti quando perde i Giudei; è coperto di porpora quando riceve la Chiesa delle nazioni che è stata raccolta dalle rocce. Spogliato, alla fine, di questa Chiesa scandalizzata, è di nuovo rivestito del popolo giudaico: poiché «quando sarà intera la pienezza delle nazioni tutto Israele sarà salvato» (Rm 11,25).

BEDA: Oppure fa vedere, in questa porpora di cui è coperto, la sua carne che tu esposta a ogni sofferenza, e in questa corona di spine i nostri peccati che egli prese su di sé.

TEOFILATTO: Prendiamo anche noi un vestito regale di porpora, poiché noi dobbiamo camminare come dei re, calpestando con i nostri piedi i serpenti e gli scorpioni e tenendo il peccato vinto. Noi cristiani, portando questo nome, testimoniamo che siamo veramente unti, come i re lo erano un tempo. Prendiamo una corona di spine e incoroniamoci di purezza, di astinenza, di una vita austera.

BEDA: Essi colpiscono la testa di Cristo negando che sia il vero Dio. E siccome la Scrittura suole essere scritta con una canna, colpiscono la testa di Cristo con una canna coloro che, negando la divinità del Salvatore, si sforzano di appoggiare il loro errore sull’autorità della Sacra Scrittura. Sputano sul suo volto coloro che respingono con esecrabili parole la presenza della sua grazia. Vi sono anche oggi alcuni che ammettono la sua divinità con una fede che non dubita ma che, per i loro atti perversi, gettano del disprezzo sulle sue parole come se fossero menzognere, e fanno passare davanti alle sue promesse le illusioni del tempo. D’altra parte bisogna notare che come Caifa, senza sapere quello che diceva, aveva detto (Gv 11,50): «Bisogna che un uomo muoia per il popolo», cosi i soldati fanno ciò che essi non credono di fare.

VERSETTI 21-28

E lo condussero fuori per crocifiggerlo. Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del cranio, e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere. Era l’ora terza e lo crocifissero. E l’iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra. E fu compiuta la Scrittura che dice: «E fu annoverato fra i malfattori».

GLOSSA: Dopo la condanna di Cristo e le ingiurie inferte al condannato, l’Evangelista ci riferisce la sua crocifissione dicendo: E lo condussero fuori per crocifiggerlo.

GIROLAMO: Qui c’è quell’Abele che è condotto da suo fratello in un campo per esservi immolato, Isacco caricato della legna del suo sacrificio, Abramo che trova l’ariete preso nel roveto, Giuseppe il sognatore e la tunica intrisa nel sangue talare, Mosè con la sua verga e il serpente sospeso al legno. Qui c’è il grappolo d’uva che era portato nell’arca di legno, c’è Eliseo che con il legno cerca la scure, e vedeva nuotare il ferro verso il legno dal fondo dell’acqua, cioè il genere umano immerso nell’abisso da un legno, l’albero proibito, nuotava di nuovo verso il paradiso, per il legno della croce di Cristo e per il battesimo d’acqua. E qui c’è Giona gettato dal legno per tre giorni nel mare e nel ventre della balena. Segue: Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.

TEOFILATTO: Giovanni dice che era Gesù che portava la sua croce, ma l’una e l’altra cosa sono vere. Gesù aveva cominciato a portare lui stesso la sua croce, fino a quando non incontrarono un uomo che essi costrinsero a portarla, e che la portò da quel momento. Per dare una più alta credibilità e una testimonianza incontestabile di questo fatto, egli ci dice di chi era padre questo Simone, che viveva ancora al momento in cui questo fatto fu scritto, e che poteva raccontare tutto ciò che riguardava la crocifissione.

GIROLAMO: Mentre alcuni sono rinomati per i meriti dei loro genitori, altri lo sono per quelli dei loro figli. Qui questo Simone, costretto a portare la croce del Salvatore viene ricordato per i meriti dei due figli che avevano preso posto presso i discepoli del Signore. Noi apprendiamo così che in questa vita i genitori sono aiutati dai meriti e dalla saggezza dei loro figli; così è del popolo giudaico, sempre rinomato a causa della virtù dei Patriarchi, dei Profeti e degli Apostoli. Questo Simone che porta la croce perché vi è costretto, è l’uomo che lavora per la gloria umana. Gli uomini lo forzano a fare ciò a cui non lo avrebbero potuto costringere né il timore né l’amore di Dio.

BEDA: Il popolo dei Gentili è con ragione designato da questo Simone, che non è di Gerusalemme, ma di Cirene, città della Libia; poiché i Gentili, altrimenti stranieri e nuovi venuti ai Testamenti, sono divenuti per la loro obbedienza gli eredi di Dio e i coeredi di Cristo. Infatti il nome di Simone significa obbediente, e quello di Cirene erede. Questo Simone veniva da una città. La parola greca che corrisponde a quest’ultima è pagos, da cui abbiamo formulato il nome di pagano, per designare colui che si trova al di fuori della città di Dio; Simone porta la croce al momento in cui lascia la sua campagna, poiché è abbandonando i loro riti pagani che i Gentili si sono messi, per obbedienza, a seguire le tracce del Salvatore. Segue: Condussero Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del cranio. Al di fuori della città e dopo averne passato la porta vị era uno spazio dove si decapitavano i criminali e, a causa di ciò, si era chiamato questo luogo Calvario, cioè luogo dei decapitati. Il Salvatore fu crocifisso in questo luogo affinché lo stendardo del martirio venisse elevato in quello che prima era stato il luogo dei condannati.

GIROLAMO: Una tradizione giudaica narra che fu in questo luogo che un ariete fu immolato al posto di Isacco. È là il Calvario di Cristo, poiché egli vi è separato dalla sua carne, cioè da questa Giudea carnale. Segue: e gli offrirono vino mescolato con mirra.

AGOSTINO: Bisogna ammettere che si tratti di ciò che Matteo ha espresso così (27-34): «vino mescolato a fiele». Con il fiele egli ha voluto indicare l’amarezza di questo vino, poiché non vi è nulla di più amaro del vino mescolato alla mirra. Tuttavia è potuto capitare che la mirra e il fiele concorressero a dare più amarezza al vino.

TEOFILATTO: Ma essendoci molto disordine, poté accadere che gli uni portassero del fiele e dell’aceto, e gli altri del vino mescolato a mirra.

GIROLAMO: Oppure questo vino mescolato a mirra è aceto: con esso è purificato il succo mortale del pomo di Adamo.

BEDA: Una vigna amara fa del vino amaro, ed è del vino amaro che il Salvatore ricevette dai Giudei, affinché fosse compiuta questa parola (Sal 68,22): «Mi hanno dato come cibo del fiele e nella mia sete mi fecero bere dell’aceto»:

AGOSTINO: Le parole: ma egli non ne prese stanno a indicare che egli non ne bevve. Egli ne gustò, come ci fa sapere Matteo, ed è ciò che questo stesso Evangelista riferisce così (27,34): «Egli non volle berne», e Marco: ma egli non ne prese, senza dire che ne gustò.

GIROLAMO: Non prese neanche ciò per cui patisce, per cui si dice (Sal 68,5): «Allora pagavo ciò che non avevo rapito». Segue: Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere. In questo luogo la salvezza ci appare sotto la forma di un albero. Il primo albero fu l’albero della conoscenza del bene e del male; il secondo non è che l’albero del bene, ed è anche l’albero della vita. La mano stesa verso il primo albero aveva preso la morte, le mani stese sul secondo albero ritrovano la vita che era stata perduta. E’ su questo albero che noi siamo portati verso la terra dei viventi attraverso questo mare ondoso; è per questa croce che noi siamo liberati dalla nostra pena, ed è questa morte che uccide la nostra morte. È con la forma di un serpente che il serpente viene ucciso, poiché è con la verga cambiata in serpente che sono annientati gli altri serpenti. La forma della croce che cosa ci designa se non le quattro parti del mondo? Quella alta significa l’oriente, il nord è indicato dal braccio di destra, il mezzogiorno da quello di sinistra, l’occidente dalla base fissa al suolo. Per cui l’Apostolo scrive (Ef 3,18): «Affinché sappiamo quali sono l’altezza, la larghezza, la lunghezza e la profondità». Gli uccelli, elevandosi verso l’aria, prendono la forma di croce; l’uomo, nuotando, è portato da questa forma sulle acque; il vascello riceve il soffio del vento nell’albero che ha ali che soffrono questa forma; la lettera «tau» ci figura questo segno della nostra salvezza.

BEDA: Oppure la traversa della croce sulla quale sono fissate le mani, è figura della gioia della speranza, poiché dalle mani sono figurate le opere e dall’estensione la gioia di colui che le fa, mentre la tristezza non fa che restringere; dall’altezza sulla quale si appoggia la testa, l’attesa della ricompensa della giustizia divina che viene dall’alto; dalla lunghezza sulla quale si estendono tutte le membra, la tolleranza che ci dona la virtù della longanimità; dalla profondità della terra in cui è infissa la croce tutto ciò che questo mistero ha di nascosto. Ora, finché i nostri corpi agiscono su questa terra e fino a che sia distrutto il corpo del peccato, è il tempo della croce.

TEOFIL ATTO: Essi agiscono ancora per ironia tirando a sorte i suoi vestiti come se fossero dei vestiti regali, mentre invece erano poveri e di prezzo vile.

GLOSSA: Giovanni Evangelista riferisce ciò con più particolari, mostrandoci gli altri vestiti del Salvatore divisi in quattro parti, mentre viene tirata a sorte la sua tunica che, essendo senza cuciture, era tutta d’un pezzo.

GIROLAMO: I vestiti del Salvatore che i soldati pagani si dividono sono i suoi precetti, da cui è avvolta la Chiesa, che è il suo corpo, in modo chi vi siano quattro ordini differenti di fedeli uniti talli stessa fede: gli sposi e i continenti, i superiori e i subordinati. Tutti hanno ricevuto la tunica indivisibile: la pace e l’unità. Segue: Era l’ora terza, e lo crocifissero. È con ragione e verità che Marco fa questa riflessione: infatti all’ora sesta le tenebre si erano diffuse su tutta la terra, in modo che nessuno poteva agire.

AGOSTINO: Ma se era verso l’ora sesta che Gesù fu consegnato ai soldati da Pilato, seduto sul suo tribunale, per essere crocifisso, come riferisce Giovanni, come ha potuto Marco, secondo la falsa interpretazione di qualcuno, dire che il Salvatore fu crocifisso all’ora terza? Vediamo prima a quale ora Gesù poté essere crocifisso, e poi vedremo perché Marco ci dice che fu crocifisso all’ora terza. Ora, è certo verso l’ora sesta che Gesù fu consegnato per essere crocifisso da Pilato assiso sul suo tribunale, come si è detto. Non era esattamente l’ora sesta, ma verso l’ora sesta; vale a dire che la quinta era passata e la sesta iniziava, in modo che è dopo la quinta ora, e quando la sesta era appena iniziata, che avvennero le cose riferite sulla crocifissione, fino a che, passata completamente l’ora sesta, sopraggiunsero le tenebre di cui si è parlato al momento in cui Gesù era sospeso alla croce. Cerchiamo adesso di vedere perché Marco dice che era l’ora terza e lo crocifissero. Certamente aveva già detto: e crocifiggendolo si divisero le sue vesti, come anche gli altri Evangelisti attestano che, essendo egli crocifisso, i vestiti furono divisi. Se infatti Marco avesse soltanto voluto constatare il tempo del fatto, avrebbe dovuto soltanto dire che era l’ora terza. Perché aggiunge e lo crocifissero se non perché ha voluto significare, ricapitolando, qualcosa di nascosto che si poté scoprire quando, essendo la Scrittura letta su tutta la faccia della terra, ed essendo l’ora della morte del Signore conosciuta ovunque, non ci potevano essere su questo punto né errore né menzogna? Questo Evangelista sapeva ciò che Giovanni ci dice, che cioè il Salvatore era stato elevato sulla croce non dai Giudei, ma dai soldati; e ciò che egli ha voluto mostrarci in maniera velata nel passo in questione è che Gesù fu sospeso alla croce più da coloro le cui grida ottennero la sua condanna che da coloro che, crocifiggendolo, non fecero che obbedire al dovere del loro incarico. Egli ci conduce così a concludere che fu all’ora terza che i Giudei ottennero la sua morte, ed egli dimostra così che fu veramente al momento in cui fecero intendere le loro grida che essi lo elevarono sulla croce. Si comprende che ci dovessero essere due ore impiegate da Pilato negli sforzi per salvare il Salvatore e nelle resistenze dalla parte del popolo, e che fu quando l’ora sesta non era ancora terminata che cominciarono gli avvenimenti che trascorsero dal momento in cui Pilato consegnò il Salvatore fino a quando le tenebre si diffusero su tutta la faccia della terra. Chi non vorrà lasciarsi troppo indurire dalla sua incredulità comprenderà facilmente che Marco ha voluto constatare ciò al momento in cui narra il fatto dei soldati affinché nessuno potesse portare questo crimine, commesso dai Giudei, sui soldati che lo hanno eseguito. Dicendo che era l’ora terza e lo crocifissero, egli conduce il lettore attento, che avrà notato che era all’ora sesta che i soldati lo elevarono sulla croce, a concludere che fu crocifisso piuttosto da coloro che all’ora terza domandarono la sua morte.

AGOSTINO: Egli vuole dunque che noi comprendiamo che fu all’ora terza che la sentenza di morte fu emessa dai Giudei contro il Salvatore, e ogni uomo deve essere considerato come morto al momento in cui la sentenza di morte è pronunciata. Marco rende così evidente che non fu per una sentenza del giudice che il Salvatore fu condannato: si prova infatti difficilmente l’innocenza di colui che è condannato da una sentenza del giudice.

AGOSTINO: Tuttavia ci sono molti che vogliono, in queste parole di Giovanni (19,31): «Era la sesta ora della preparazione della Pasqua», intendere la terza ora del giorno. Essi dicono che il giorno che precedeva il sabato era per i Giudei quello della preparazione della Pasqua, poiché era nello stesso giorno di sabato che si cominciavano a mangiare gli azzimi; ma per la vera Pasqua, quella dei Cristiani e non quella dei Giudei, la preparazione, la parasceve, come si dice, cade alla nona ora della notte, quando i Giudei si preparavano a immolarlo. Fra questa ora della notte e quella della crocifissione viene a collocarsi la sesta ora della parasceve di cui parla Giovanni, ora che Marco traduce con la terza ora del giorno corrispondente. Qual è il fedele che non accetterebbe tale soluzione ammettendo tuttavia che per mezzo di un’addizione si possa intendere convenientemente che la preparazione della nostra Pasqua, della morte di Cristo, comincia alla nona ora della notte? Se infatti diciamo che questa preparazione cominciò al momento in cui Gesù fu preso, era appena l’inizio della notte. Al contrario, se si fa cominciare questa preparazione al momento in cui fu condotto da Caifa e quando fu interrogato dai sacerdoti, il gallo non aveva ancora fatto sentire la sua voce; se invece al momento in cui fu condotto da Pilato, è chiaro che era già pieno giorno. Dobbiamo quindi ammettere che la preparazione della morte del Salvatore iniziò al momento in cui tutti i sacerdoti gridarono che Gesù era «degno di morte» (Mt 26,66). Si può intendere che fosse allora la nona ora del mattino, se si nota che il rinnegamento di Pietro non è stato collocato dopo dall’Evangelista se non perché esso ricapitola i suoi ricordi, ma aveva avuto luogo prima. Segue: E l’iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei.

TEOFILATTO: Essi scrissero questo titolo, cioè il motivo per il quale lo avevano crocifisso, come un vituperio per l’opinione che egli aveva avuto di se stesso proclamandosi re, e alla fine di attirare su di lui, invece della compassione, il disprezzo dei passanti.

GIROLAMO: Essi scrissero questo titolo in tre lingue: in ebraico, Malchus Judaeorum; in greco, Basileus exolomogeseon; in latino, Rex confessorum. Queste tre lingue furono prese per la croce come le tre principali, per comunicare a tutti gli altri la perfidia dei Giudei.

BEDA: Questo titolo constata che uccidendolo non poterono ottenere di non averlo come re. Egli renderà loro secondo le loro opere. Segue: Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra.

TEOFILATTO: Per dare di lui una cattiva opinione, e per farlo passare per un ladro e un malfattore. Ma questa disposizione fu provvidenziale, per compiere ciò che era stato detto nella Scrittura; per cui segue: E fu compiuta la Scrittura che dice: «E fu annoverato fra i malfattori».

GIROLAMO: Annoverato nel mezzo dei malvagi, la verità ne lascia uno alla sua sinistra e l’altro alla sua destra, così come accadrà nel giorno del giudizio. Quale sorte differente dopo un crimine simile! L’uno precede Pietro in Paradiso, l’altro Giuda all’Inferno; una confessione rapida ha conquistato una lunga vita, e una bestemmia che è passata è punita con una pena eterna.

BEDA: In senso mistico, i due ladroni che sono crocifissi con il Salvatore significano coloro che, sotto l’impero della fede e del nome di Cristo, subiscono o la prova del martirio o le regole di una vita austera. Quelli che lo fanno per la gloria eterna sono prefigurati dal ladro che è a destra; quelli che lo fanno per la prospettiva di una lode umana imitano l’anima e gli atti del ladro che è a sinistra.

TEOFILATTO: Oppure diversamente. I due ladroni erano la figura dei due popoli, il popolo Giudeo e il popolo Pagano, tutti e due colpevoli: il primo della trasgressione della legge scritta, il secondo della trasgressione della legge naturale, ma questo penitente e quello bestemmiatore fino alla fine. In mezzo c’è la croce di Cristo, poiché egli è la pietra angolare che ci riunisce.

VERSETTI 29-32

I passanti lo insultavano, e scuotendo il capo esclamavano: Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce! Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: Ha salvato gli altri, ma non può salvare se stesso! Che il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo. E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

GIROLAMO: Essendo l’asinello della Giudea legato alla vite, e il suo mantello intinto nel sangue dell’uva, i capretti lacerano la vigna. Essi bestemmiano Cristo e muovono il loro capo; per cui si dice: I passanti lo insultavano e scuotendo il capo, esclamavano: Ehi, tu che distruggi il tempio di Dio.

TEOFILATTO: Coloro che passavano bestemmiavano Cristo e l’oltraggiavano come un seduttore. Ora, era il diavolo che li spingeva a dirgli di scendere dalla croce. Sapendo che la salvezza era nella croce, egli si rimetteva a tentare Cristo, e se fosse disceso dalla croce, egli sarebbe stato certo che non si trattava del Figlio di Dio. Così sarebbe stata annientata la salvezza mediante la croce. Ma egli, che era il Figlio di Dio, non discese. Perché ci sarebbe salito, se avesse dovuto ridiscenderne? Vedendo che era così che doveva essere salvato il genere umano, egli sopportò la crocifissione e altri dolori, e portò a termine la sua opera. Segue: Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: Ha salvato gli altri, ma non può salvare se stesso! Essi dicevano così per annientare i suoi miracoli e per insinuare che erano miracoli apparenti. Gesù infatti aveva guarito un grande numero di persone con i suoi miracoli.

BEDA: È così che essi riconoscono, senza volerlo, che egli aveva salvato molti. Così la vostra sentenza vi condanna: chi infatti ha salvato gli altri, poteva salvare se stesso. Segue: Che il Cristo, il re di Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo.

GIROLAMO: E videro in seguito risorgere dal sepolcro colui che non credevano che potesse scendere dal patibolo. Dov’è, o Giudei, la vostra incredulità? È voi che io consulto; giudicate voi stessi. Come non è più ammirevole che un morto risusciti dalla tomba piuttosto che un uomo ancora vivo discenda da una croce? Avete chiesto poco, ecco molto di più. Ma la vostra incredulità ha resistito a dei prodigi molto più grandi di quelli che voi avete domandato. Qui «tutti sono scomparsi, tutti sono diventati completamente vani» (Sal 13,3); per cui segue: E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

AGOSTINO: Come ciò può essere vero, se noi vediamo in Luca che uno frenò le bestemmie del suo compagno e credette in Dio, a meno che non ammettiamo che, per abbreviare, Marco e Matteo hanno messo il plurale per il singolare?

TEOFILATTO: Oppure, tutti e due avevano all’inizio bestemmiato, ma uno dei due, riconoscendo l’innocenza di Gesù, si levò contro il suo compagno le cui bestemmie continuavano.

VERSETTI 33-37

Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia! Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: Aspettiamo, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

BEDA: L’astro più brillante ritrasse i suoi raggi dal mondo, o per non vedere il Signore appeso, o perché i due empi bestemmiatori non vedessero la sua luce; per cui si dice: Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio.

AGOSTINO: Luca aggiunge da dove vennero queste tenebre, cioè dal sole eclissato.

TEOFILATTO: Se fosse stato un momento possibile per un’eclissi, si potrebbe dire che questo oscuramento era naturale; ma era il quattordicesimo giorno della luna, e in quel giorno non era possibile un’eclissi. Segue: Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eli, Eli.

GIROLAMO: Era all’ora nona che la decima dracma che era stata perduta fu ritrovata, dopo che la casa fu spazzata.

BEDA: Infatti è scritto che, quando Adamo ebbe peccato, egli intese la voce di Dio che passeggiava nel giardino nel momento in cui si levava la brezza, dopo mezzogiorno; ed è nell’ora in cui il primo Adamo portò la morte al suo seguito nel mondo che il nuovo Adamo distrusse la morte morendo. E bisogna notare che il Signore fu sacrificato nel momento in cui il sole abbandona il centro del cielo, e che egli celebrerà i misteri della sua risurrezione al levar del sole, e ciò perché «egli è morto per i nostri peccati ed è risorto per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). E non meravigliarti, in presenza dello scandalo della croce, di queste parole umili, dei lamenti dell’abbandonato, poiché tu sai che lì c’è la forma dello schiavo. Come infatti aver fame, essere affaticati non erano cose che competevano alla divinità, ma erano delle debolezze umane, così questo lamento: perché mi hai abbandonato? era il lamento del corpo, poiché ad esso è naturale il non essere separato dalla vita alla quale è stato unito. È Gesù stesso che parla qui, ma parla per far risaltare la fragilità del suo corpo, parlando come uomo, e mostrandoci questi movimenti della nostra anima che ci fanno temere, nei pericoli, di essere abbandonati da Dio.

TEOFILATTO: Oppure è per me che l’uomo che è sulla croce dice a Dio queste parole, poiché noi uomini siamo abbandonati, ma egli non lo fu mai da suo Padre. Ascolta ciò che dice egli stesso (Gv 16,32): «Io non sono solo, ma il Padre è con me». Sebbene si possa dire anche che Gesù si è espresso così per i Giudei, e come Giudeo per il suo sangue; e allora queste parole si riconducono a queste altre: Perché hai abbandonato il popolo ebraico al punto che essi hanno crocifisso il tuo Figlio unico? Come noi diciamo talvolta, parlando del nostro corpo: Dio mi ha rivestito, cioè della mia natura umana, così dobbiamo riferire queste parole: mi hai abbandonato? alla natura umana o al popolo Giudaico. Segue: Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia.

BEDA: Io penso che tratti qui dei soldati romani che, non intendendo l’ebraico, credevano che egli chiamasse Elia poiché aveva pronunciato «Eli, Eli». Se invece vuoi che siano stati i Giudei a intendere così, pensa che l’abbiano fatto per insultarlo, come se implorasse l’aiuto di Elia. Segue: Uno corse a inzuppare di aceto una spugna ecc. Giovanni (19,28-29) dice più ampiamente che il Salvatore ricevette dell’aceto da bere, scrivendo: «Gesù, affinché si compisse la Scrittura, disse: Ho sete, ed essi offrirono alla sua bocca una spugna piena di aceto».

GIROLAMO: Qui c’è l’indicazione di una similitudine riferita ai Giudei: essi riempiono di aceto, vale a dire di astuzia e di malizia, una spugna piazzata in cima a una canna fragile, secca, adatta a essere bruciata.

AGOSTINO: Questa parola su Elia fu detta non soltanto da colui che gli presenta la spugna ma, al dire di Matteo, da altri; dal che dobbiamo concludere che essa appartiene sia a quest’uomo, sia ad altri assistenti.

GIROLAMO: La voce di Dio si leva con forza al momento in cui l’uomo cade, questa voce che dice (Sal 117,19): «Apritemi le porte della giustizia»; per cui segue: Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Noi che siamo della terra, moriamo con una voce flebile, o senza voce, ma lui, che spira con una voce forte, viene dal cielo.

TEOFILATTO: E colui che comanda alla morte come suo padrone, muore come suo padrone, con potenza. Luca ci insegna quale fu questo grido, dicendoci che gridò (23,46): «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito». Cristo vuole cosi mostrarci che le anime degli uomini santi si slanciano nelle mani di Dio: infatti, prima che venisse colui che ha predicato ai morti la loro liberazione, tutte le anime erano prigioniere negli inferi.

VERSETTI 38-41

Il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso. Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio! C’erano anche alcune donne, che stavano a osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Giuseppe, e Salome, che lo servivano e seguivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.

GLOSSA: Dopo avere narrato la passione e la morte del Salvatore, l’Evangelista passa alla narrazione di ciò che avvenne dopo la sua morte; per cui si dice: E il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso.

GIROLAMO: Il velo del tempio si squarciò, vale a dire che il cielo si aprì.

TEOFILATTO: Il velo del tempio si squarciò come per insegnarci che la grazia dello Spirito Santo si ritira dal tempio o che il tempio piangerà nella persona dei Giudei, quando deploreranno le loro disgrazie e strapperanno i loro vestiti. Ci viene rappresentato anche il tempio animato, cioè il corpo di Cristo: infatti nella sua passione questo corpo fu lacerato. Noi vi troviamo un altro significato. La nostra carne è, infatti, il velo del nostro tempio, vale a dire della nostra anima. Ora, la potenza della carne è stata lacerata nelle sofferenze di Cristo dall’alto al basso, da Adamo fino all’ultimo uomo, essendo lo stesso Adamo stato salvato dalla passione di Cristo, e la maledizione non perseverando più sulla sua carne, non essendo questa più corruttibile, ma essendo stata rivestita di immortalità in tutti noi. Allora il centurione, vistolo. Si dice centurione colui che presiede a cento soldati. Questo, vedendo il Salvatore spirare con tale potenza e tale dominio, ne fu meravigliato e confessò.

BEDA: Il centurione che, vedendo spirare il Salvatore, grida: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio, ci mostra la sorgente miracolosa di questo prodigio; poiché nessuno, se non è colui che ha creato tutte le anime, ha il potere di mettere così il suo spirito.

AGOSTINO: Ciò che sbalordì soprattutto il centurione fu che dopo questo grido, espressione del nostro peccato, egli liberò subito la sua anima, con ciò questa anima del Mediatore dichiarò che nessun peccato l’aveva spinto fino alla morte come castigo, poiché egli non abbandonò suo malgrado, ma così come egli volle e come congiunto all’unità della persona del Verbo di Dio.

GIROLAMO: È il momento in cui gli ultimi diventano i primi; il popolo degli increduli confessa, la Giudea cieca nega, in modo che questo errore diviene peggiore del primo.

TEOFILATTO: Ed è così che l’ordine è convertito: poiché nel momento in cui i Giudei immolano, il Gentile confessa, i discepoli fuggono e le donne aspettano; segue infatti: C’erano anche alcune donne, che stavano a osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Giuseppe, e Salome. Salome era il nome della madre dei figli di Zebedeo.

ORIGENE: lo ho pensato, vedendole nominate da Marco e da Matteo, che erano le principali fra coloro che assistettero. Ciascuno di questi due Evangelisti nomina Maria Maddalena e Maria di Giacomo; la terza, che è chiamata da Matteo la madre dei figli di Zebedeo, è chiamata Salome da Marco.

BEDA: È Giacomo il minore che è chiamato Giacomo di Alfeo; egli era chiamato fratello del Signore poiché aveva per madre Maria, zia del Signore, di cui Giovanni (19,25) parla così: «Erano presso la croce di Gesù Maria sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa, e Maria Maddalena». Maria di Cleofa era così chiamata da suo padre o dalla sua parentela. Giacomo il minore è così chiamato perché si possa distinguerlo da Giacomo il maggiore, figlio di Zebedeo, che fu chiamato a essere uno dei primi Apostoli del Signore. Ora, era costume, e gli usi antichi non trovavano nulla da ridire, che le donne fornissero esse stesse il nutrimento a coloro che le istruivano. Segue: che lo servivano e seguivano quando era ancora in Galilea. Esse fornivano i propri averi per i bisogni del Signore per farlo partecipare ai loro beni temporali nel momento in cui egli le faceva partecipare ai beni spirituali, essendo così il modello di coloro che insegnano, che devono accontentarsi del nutrimento e del vestito fornito dai discepoli. Ma vediamo chi era con lui: e molte altre donne che erano salite con lui a Gerusalemme.

GIROLAMO: Come il sesso femminile è legato alla salvezza per mezzo della Vergine Maria, così è legato alla scienza della croce e a quella della risurrezione per mezzo di Maria Maddalena, che non ha marito, e delle altre che sono madri.

VERSETTI 42-47

Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, nobile decurione, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meraviglio che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli, allora comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro. Intanto Maria di Magdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva deposto.

GLOSSA: Dopo aver raccontato la passione e la morte di Cristo, l’Evangelista racconta la sua sepoltura: Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, ecc.

BEDA: La parola greca parasceve, che era usata dai Giudei a causa della loro mescolanza con i Greci, significa preparazione, e serviva a designare il sesto giorno della settimana, quando si facevano tutti i preparativi del sabato. Ora, essendo il sesto giorno quello in cui fu creato l’uomo, e il settimo quello in cui il Signore si riposò, è in armonia con questi fatti che il Salvatore compì al sesto giorno i misteri della riparazione, e al settimo si riposò nella tomba, attendendo l’avvenimento della risurrezione, che doveva aver luogo l’ottavo giorno. Così noi stessi, nella sesta età del mondo, dobbiamo essere crocifissi al mondo, fino a che al settimo giorno, nel momento in cui ciascuno di noi avrà pagato il suo tributo alla morte, i nostri corpi dovranno riposare nella tomba, mentre le nostre anime, dopo le loro buone opere, nella pace intima di Dio, attendono che all’ottava epoca i nostri corpi stessi, glorificati con le nostre anime, ricevano l’incorruttibilità. Bisognava che colui che doveva seppellire il Signore fosse tale, degno di questo ministero per la giustizia dei meriti, e avesse la potenza di un uomo nobile, per ottenere la facoltà di esercitare questo ministero; per questo si dice che era un nobile decurione che aspettava il regno di Dio. Si chiamava decurione colui che era incaricato di una decuria e la comandava; si dava questo nome anche ad altri impieghi civili. Arimatea, poi, era Ramatain, la città di Elcana e di Samuele.

GIROLAMO: Arimatea significa colei che distacca. Giuseppe, che distacca Gesù dalla croce, era di questa città. Segue: andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù.

TEOFILATTO: Felice audacia! Poiché non ha pensato così: se io domando il suo corpo perderò le mie ricchezze e sarò cacciato dai Giudei, domandando il corpo di un uomo che è stato condannato come bestemmiatore. Segue: Pilato si meravigliò che fosse già morto. Credeva infatti che rimanesse vivo più a lungo sulla croce, così come accadde ai ladroni. Segue: e chiamato il centurione lo interrogò se fosse morto da tempo, cioè prima del tempo in cui erano soliti vivere gli altri criminali. Segue: Informato dal centurione, cioè che era morto, concesse la salma a Giuseppe.

BEDA: Non era un uomo sconosciuto e di una posizione ordinaria che avrebbe potuto accedere a Pilato e ottenere il corpo del crocifisso. Segue: Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e lo avvolse nel lenzuolo.

TEOFILATTO: Seppellendo con cura un corpo così prezioso; poiché, discepolo del Signore, sapeva come bisognava onorare il corpo del Signore.

BEDA: Noi possiamo trasportare nel senso spirituale questo: che il Salvatore deve essere seppellito non nella seta, né nell’oro, né nelle pietre preziose, ma in un lenzuolo nuovo. Da lì è venuto il costume della Chiesa di non celebrare il mistero dell’altare in un tessuto di seta o in una stoffa ricca di colori, ma nel lino che viene dalla terra, in ricordo del corpo del Signore avvolto in un lenzuolo bianco. Noi vediamo questo costume consacrato da un decreto di Papa Silvestro. Si deve vedervi anche questo significato, che colui che riceve il Signore in un cuore puro lo avvolge in un lenzuolo bianco. Segue: lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare il masso contro l’entrata del sepolcro. Si dice che il sepolcro del Signore fu di forma rotonda, tagliata nella roccia, di un’altezza tale che un uomo in piedi poteva a stento toccare la parte alta con la mano stesa, e la porta era a oriente, e una grande pietra si trovava rotolata al nord. Il sepolcro, cioè il luogo dove il corpo era sistemato, era fatto della medesima pietra e aveva sette piedi di lunghezza, ed era di tre palmi più alto del pavimento, aperto su tutta la sua lunghezza non di sopra, ma dal lato di mezzogiorno, ed è da là che entrava il corpo. Si dice che il colore del monumento era rosso e bianco.

GIROLAMO: La sepoltura di Cristo è la nostra risurrezione, la sua discesa agli inferi la nostra ascensione al cielo; è là che si trova il miele nella bocca del leone morto.

TEOFILATTO: Imitiamo anche noi Giuseppe, ricevendo il corpo di Cristo attraverso l’unità, e poniamolo nel monumento scavato nella roccia, cioè nell’anima piena del ricordo di Dio che non deve mai dimenticare. Infatti quell’anima è incisa nella pietra, cioè in Cristo, da cui riceve tutta la sua forza. Noi dobbiamo avvolgerlo in un lenzuolo, vale a dire riceverlo in un cuore puro, mentre il lenzuolo significa il corpo che copre l’anima; e bisogna che non solo riceviamo Cristo in un’anima pura, ma anche in un corpo puro. E bisogna avvolgerlo, ma non coprirlo, poiché c’è là un segreto chiuso e occulto. Segue: Maria di Magdala e Maria di Giuseppe stavano a osservare dove veniva deposto.

BEDA: In Luca leggiamo che gli amici del Signore stavano lontano, insieme con le donne che l’avevano seguito. I primi erano tornati alla loro dimora dopo che Gesù era disceso dalla croce, mentre le sante donne, come animate da un amore più intimo, seguirono il Signore e si sforzarono di vedere come veniva seppellito per potergli rendere, nel tempo conveniente, i doni della loro devozione. Nel giorno della parasceve le sante donne, cioè le anime umili, fanno la stessa cosa, cercando nel fervore del loro amore le tracce della passione del Salvatore, preparazione del riposo futuro, e cercano con pia curiosità il modo in cui si svolse la passione, per assicurarsi su come imitarla.

GIROLAMO: Queste cose si possono applicare anche al popolo giudaico che crederà alla fine. Nobilitato dalla sua fede e ridivenuto figlio di Abramo, esso depone la sua disperazione, aspetta il regno di Dio, entra fra i cristiani per essere battezzato, il che è significato dal nome di Pilato, cioè martellatore, che domina le genti ferree per reggerle con una verga di ferro, e chiede il sacrificio che si dà come viatico ai penitenti, e col cuore mondo e morto ai peccati lo avvolge stabilito con la protezione della fede e lo chiude con il coperchio della speranza mediante le opere di carità: infatti «Il fine del precetto è la carità» (1 Tm 1,5); intanto gli eletti guardano da lontano, essi che sono le stelle del mare, poiché, se fosse possibile, si scandalizzeranno anche gli eletti.

Potrebbe piacerti anche: