
SESTA DOMENICA DI PASQUA
4 Maggio 2024 / by Padre Angelico / Commenti al vangelo / amare, amore, discepoli, giovanni, i-tempi-della-chiesa, il-ritorno-di-gesù, le-due-venute-di-gesù, padre-angelico, padre-angelico-maria-moccia, padri-della-chiesa, pasqua, sests-domenica, vangelo, vangelo-di-giovanni
Vangelo Commentato dai Padri
SESTA DOMENICA DI PASQUA
Vangelo di Giovanni 15, 9-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comanda-menti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni agli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri».
VERSETTI 8-11
In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimanete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
CRISOSTOMO: In precedenza il Signore aveva mostrato che quanti tramavano verso di loro delle insidie, non rimanendo nel Cristo, sarebbero stati bruciati; ora mostra che i suoi discepoli saranno invincibili e produrranno molto frutto, dicendo: In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto; come se dicesse: se compete alla gloria del Padre che voi facciate frutto, non disprezzerà la sua gloria. Ora, chi produce frutto è un discepolo di Cristo; perciò soggiunge: e diventiate miei discepoli.
TEOFILATTO: D’altronde, il frutto degli Apostoli sono i Gentili, che per mezzo del loro insegnamento sono vincolati alla fede e legati alla gloria di Dio.
AGOSTINO: Sia illustrato sia glorificato, sono termini tradotti dalla stessa parola greca. Infatti doxa, in greco, in latino si dice gloria. E ho ritenuto opportuno ricordare questo perché ciò non venga attribuito alla nostra gloria, come se lo avessimo da noi stessi: infatti questa è una sua grazia, per cui non è per la nostra, ma per la sua gloria. Infatti come produrremo i frutti se non per opera di colui la cui misericordia ci previene? Perciò soggiunge: Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Ecco donde giungono a noi le opere buone; infatti, da dove potrebbero derivare a noi se non dal fatto che la fede opera mediante l’amore? Ma donde ameremmo se prima non fossimo amati? L’espressione: Come il Padre ha amato me così anch’io ho amato voi non mostra un’eguaglianza della sua natura e della nostra, come c’è invece tra il Padre ed egli stesso, ma la grazia, con cui egli è il mediatore tra Dio e l’uomo: l’uomo Cristo Gesù. Egli si mostra mediatore quando dice: Il Padre ha amato me, e anch’io ho amato voi. Infatti il Padre senz’altro ama anche noi, ma ci ama in lui.
CRISOSTOMO: Se dunque il Padre ci ama, abbiate fiducia; se appartiene alla gloria del Padre, portate frutto. Poi, per non renderli pigri, soggiunge: Rimanete nel mio amore. In che modo ciò accada lo mostra dicendo: Se osserverete i miei comandamenti, rimanete nel mio amore.
AGOSTINO: Chi mette in dubbio che l’amore preceda l’osservanza dei comandamenti? Infatti chi non ama non ha motivi per osservare i comandamenti. Perciò quanto viene qui detto non mostra da dove si genera l’amore, ma da dove viene rivelato; affinché nessuno si inganni dicendo che lo ama pur non osservando i suoi comandamenti. Sebbene dall’espressione: Rimanete nel mio amore non risulti chiaro di che amore si tratta: quello con cui noi lo amiamo, o quello con cui egli ama noi, tuttavia lo si riconosce dalle parole precedenti; indubbiamente aveva detto: così anch’io ho amato voi, e aggiunge immediatamente: Rimanete nel mio amore, cioè in quell’amore nel quale io vi ho amato. Ma che cosa significa: Rimanete nel mio amore se non: rimanete nella mia grazia? E che significa: Se osserverete i miei comandamenti, rimanete nel mio amore, se non che saprete di rimanere nell’amore con cui io vi amo se osservate i miei precetti? Perciò non osserviamo i suoi comandamenti affinché egli ci ami; ma se egli non ci ama, non siamo in grado di osservare i suoi comandamenti. Questa è la grazia che risulta evidente agli umili e rimane nascosta ai superbi. Ma che cosa significa ciò che aggiunge: Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore? Qui senza dubbio vuole intendere quell’amore del Padre con cui egli ama il Padre. Ma forse che questa grazia con cui il Padre ama il Figlio dev’essere intesa allo stesso modo in cui va presa la grazia con cui il Figlio ama noi; poiché noi siamo figli per grazia e non per natura, mentre l’Unigenito è Figlio per natura e non per grazia? Oppure questo nello stesso Figlio va riferito all’uomo? E proprio così; infatti, dicendo: Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi, mostra la grazia del mediatore; ora, mediatore tra Dio e gli uomini è Cristo non in quanto Dio, ma in quanto uomo. Perciò possiamo dire correttamente che, sebbene la natura umana non appartenga alla natura di Dio, tuttavia appartiene per grazia alla persona del Figlio di Dio, una grazia della quale non esiste nulla di superiore e neppure uguale. Infatti quell’assunzione non fu preceduta da alcun merito degli uomini, mentre da quell’assunzione ebbero inizio tutti i meriti.
ALCUINO: A quali comandamenti si riferisce lo spiega l’Apostolo dicendo (Fil 2,8): «Umiliò sé stesso, facendosi obbediente sino alla morte, e alla morte di croce».
CRISOSTOMO: Poiché la passione futura e le tristi parole stavano per interrompere la loro gioia, soggiunge: Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Come se dicesse: e se sopraggiunge la tristezza, ve la toglierò, perché alla fine arrivi la gioia.
AGOSTINO: Ma qual è la gioia di Cristo in noi, se non che egli si degna di godere di noi? E quale gioia dice che deve compiersi se non quella di partecipare alla sua compagnia? Egli possedeva già una gioia perfetta nei nostri confronti quando godeva nel preconoscere e nel predestinarci; ma quella gioia non si trovava ancora in noi perché non esistevamo; cominciò a esistere in noi nel momento in cui ci ha scelti. E noi diciamo giustamente che questa gioia è nostra: questa gioia con cui saremo beati, che ha inizio nella fede di quanti sono rinati, e si compirà nella ricompensa di quanti risorgeranno.
VERSETTI 12-16
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo conceda.
TEOFILATTO: Poiché aveva predetto che, se avessero osservato i suoi comandamenti, sarebbero rimasti in lui, qui mostra quali sono i comandamenti che bisogna osservare dicendo: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri.
GREGORIO: Ma essendo tutte le parole della Scrittura piene di comandi, perché qui parla dell’amore come di un precetto speciale, se non perché tutti i comandi si concentrano nell’amore, e tutti i comandi si riducono a uno solo? Infatti tutto ciò che viene comandato sì riunisce nella carità. E come molti rami di un albero provengono da una sola radice, così molte virtù sono generate unicamente dalla carità; né alcun ramo delle opere buone verdeggia se non rimane unito alla radice della carità.
AGOSTINO: Quindi, dove c’è la carità, quale altra cosa può mancare? E dove manca la carità, che altro può essere vantaggioso? Ma questo amore si distingue da quello con cui gli uomini si amano in quanto uomini; per cui aggiunge: come io vi ho amati. Perché, infatti, Cristo ci ha amati se non perché potessimo regnare con lui? Così amiamoci reciprocamente per distinguere il nostro amore da quello degli altri, i quali non si amano reciprocamente perché Dio sia amato, perché di fatto non amano veramente. Ora, solo quanti si amano per possedere Dio, si amano veramente.
GREGORIO: La dimostrazione più grande della carità è una sola: se si ama il proprio nemico; infatti la Verità stessa subì il patibolo della croce e tuttavia mostrò l’affetto dell’amore per i suoi persecutori, dicendo (Lc 23,34); «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Ed esprime il massimo dell’amore quando soggiunge: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Il Signore era venuto per morire per i suoi nemici; e tuttavia diceva di essere venuto per dare la sua vita per gli amici al fine di mostrarci che, mentre con l’amore possiamo guadagnarci i nemici, anche quanti ci perseguitano sono nostri amici.
AGOSTINO: Poiché in precedenza aveva detto (v. 12): «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati», ne deriva la conseguenza che lo stesso Giovanni esprime (1 Ep. 3,16): «Poiché egli ha dato la sua vita per noi, così noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli». I martiri hanno fatto questo con amore ardente. Perciò, ricordandoli alla mensa del Signore, non preghiamo per loro come facciamo per gli altri, ma piuttosto preghiamo perché possiamo seguire le loro orme. Infatti essi mostrarono ai loro fratelli le stesse cose che ricevettero alla mensa del Signore.
GREGORIO: Chi invero nel tempo sereno non dà la sua tunica per Dio, in che modo durante la persecuzione darà la sua vita? Quindi, per essere vittoriosa nella tribolazione, la virtù dell’amore si nutra con le opere di misericordia nel tempo tranquillo.
AGOSTINO: Con la stessa e unica carità amiamo Dio e il prossimo; ma Dio per Dio, noi stessi e il prossimo per Dio. Ma poiché i precetti della carità sono due, dai quali dipendono tutta la Legge e i Profeti, l’amore di Dio e del prossimo, non a torto la Scrittura pone per entrambi uno solo; poiché chi ama Dio è logico che faccia quello che ordina Dio; è quindi logico che ami il prossimo, perché Dio ordina anche questo; onde prosegue: Voi siete miei amici se farete ciò che io vi comando.
GREGORIO: L’amico è come se fosse il custode dell’anima. Perciò chi custodisce la volontà di Dio nei suoi comandamenti è giustamente chiamato suo amico.
AGOSTINO: Grande accondiscendenza! Sebbene un servo non possa dirsi buono se non osserva i comandamenti del suo padrone, tuttavia, se si comporta così, viene incluso tra gli amici. Pertanto il servo buono può essere sia servo che amico. In che modo poi un servo buono debba essere inteso sia come servo che come amico lo spiega quando dice: Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone. Così non saremo più servi nel momento in cui saremo servi buoni. Infatti, forse che il padrone non affida al servo buono e provato anche i suoi segreti? Ma come ci sono due specie di timore, così ci sono due specie di servitù. C’è un timore che viene estromesso dalla carità perfetta, il quale viene anch’esso estromesso assieme alla servitù; e c’è anche un timore casto che resterà per sempre. Il Signore si riferisce alla prima servitù quando dice: Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone. Certo non si riferisce al servo che è dotato del timore casto, di cui si dice (Mt 25,21): «Bene, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo signore»; ma a quel servo che possiede un timore che dev’essere estromesso dalla carità, del quale altrove si dice (8,35): «Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio invece vi resta per sempre». Così ci ha dato il potere di diventare figli di Dio, in modo tale che, mirabilmente, da servi possiamo non esserlo più, e noi sappiamo che il Signore può fare questo. Invece quel servo che ignora ciò che può fare il suo padrone non conosce questo, e quando fa qualcosa di buono si esalta come l’avesse fatto lui stesso e non il suo padrone, e si gloria in sé stesso, non nel suo padrone. Poi continua: Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre, l’ho fatto conoscere a voi.
TEOFILATTO: Come se dicesse: il servo non conosce i pensieri del suo padrone, mentre voi, che io considero miei amici, siete stati messi a parte dei miei segreti.
AGOSTINO: Ma in che modo si deve intendere che egli fece conoscere ai suoi discepoli tutto ciò che aveva udito dal Padre, quando non ha detto loro molte cose perché sapeva che per il momento non riuscivano a tollerarle? In realtà dice che ha reso note ai discepoli tutte le cose, perché sa che le farà loro conoscere in quella pienezza di cui parla l’Apostolo (1 Cor 13,12): «Allora conoscerò per intero, come anch’io sono stato conosciuto». Infatti, come aspettiamo la morte della carne e la futura salvezza delle anime, così dobbiamo aspettare la conoscenza futura di tutte le cose che l’Unigenito ha udito dal Padre.
GREGORIO: Oppure, tutte le cose che ha udito dal Padre, e che voleva che fossero fatte conoscere ai suoi servi, sono: la gioia dell’amore spirituale, la festa della patria suprema, che imprime quotidianamente alle nostre menti con l’ispirazione del suo amore. Infatti mentre amiamo le cose superne che abbiamo udito, conosciamo già le cose amate, poiché lo stesso amore è una conoscenza. Aveva quindi fatto loro conoscere tutte le cose, poiché, liberati dai desideri terreni, ardevano del fuoco del sommo amore.
CRISOSTOMO: Oppure ha detto loro tutto ciò che era necessario che essi udissero. Per il fatto poi che dice di avere udito, afferma che dice solo quello che ha udito dal Padre.
GREGORIO: Ma chiunque raggiunge la dignità di essere chiamato amico di Dio, i doni che riceve in sé stesso non li attribuisca ai propri meriti; perciò soggiunge: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi.
AGOSTINO: Questa è una grazia ineffabile: infatti, che cosa eravamo prima che Cristo ci scegliesse se non cattivi e perduti? Infatti noi non abbiamo creduto in lui per meritare di essere scelti da lui: perché se ci avesse scelti già credenti, ci avrebbe scelti come coloro che scelgono. Questo testo confuta la vana opinione di quanti affermano che siamo stati scelti prima della creazione del mondo perché Dio prevedeva che saremmo stati buoni, e non che egli stesso ci avrebbe resi buoni. Infatti, se ci avesse scelti perché aveva previsto che saremmo stati buoni, avrebbe anche previsto che noi lo avremmo scelto, perché senza sceglierlo non possiamo essere buoni; a meno che possa essere chiamato buono uno che non sceglie il bene. Quindi che cosa ha scelto in chi non era buono? Non puoi dire: sono stato scelto perché già credevo, perché se credevi in lui, lo avevi già scelto. E neppure puoi dire: prima di credere compivo già opere buone, e perciò sono stato scelto. Infatti, prima della fede, in che modo ci possono essere le opere buone? Perciò non potevamo essere detti che cattivi, e fummo scelti cosicché, per la grazia di essere scelti, potessimo diventare buoni.
AGOSTINO: Siamo stati scelti prima della creazione del mondo con quella predestinazione in cui Dio ha previsto le cose che avrebbe compiuto in futuro. Sono stati scelti da questo mondo con quella chiamata con cui Dio adempie ciò che ha predestinato: «Quelli che ha predestinati, li ha anche chiamati» (Rm 8,30).
AGOSTINO: E guardate come egli non scelga i buoni, ma renda buoni quelli che sceglie. Infatti continua: E vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto. Questo è il frutto di cui aveva già detto (v. 5): «Senza di me non potete far nulla». Egli è la via su cui ci ha posto perché camminiamo.
GREGORIO: Vi ho costituiti, ossia vi ho piantati nella grazia, perché andiate volendo, perché volere è già camminare con la mente, e portiate frutto operando. Quale frutto poi debbano produrre lo indica quando dice: e il vostro frutto rimanga. Infatti tutto ciò che produciamo secondo il mondo presente basta a stento fino alla morte: poiché la morte, quando sopravviene, tronca il frutto di tutte le nostre fatiche. Quanto invece si opera per la vita eterna si conserva anche dopo la morte, e comincia ad apparire quando i frutti delle fatiche carnali cominciano a sparire. Pertanto produciamo frutti che rimangano, tali cioè che, mentre la morte distrugge ogni cosa, abbiano inizio dopo la morte.
AGOSTINO: Perciò il nostro frutto è l’amore, il quale ora si trova più nel desiderio che nella sazietà. E ogni desiderio che manifestiamo nel nome del Figlio unigenito, il nostro Padre lo soddisferà; perciò continua: Perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo conceda. Chiediamo nel nome del Salvatore tutto ciò che riguarda la nostra salvezza.
VERSETTO 17
Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
AGOSTINO: Il Signore aveva detto (v. 16): «Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto»: ora, il nostro frutto è la carità; così, comandando a noi riguardo a questo frutto, dice: Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. Perciò anche l’Apostolo dice (Gal 5,22): «Il frutto dello Spirito è la carità», e poi intreccia ogni altra cosa come sorta e legata da questo capo. Così giustamente esalta l’amore come l’unica cosa da raccomandare, senza il quale gli altri beni non possono essere di alcun giovamento; e che non si può avere senza gli altri beni mediante i quali l’uomo diviene buono.
CRISOSTOMO: Oppure continua in modo diverso. Poiché ho detto che dono la mia vita per voi e che per prima vi ho scelto, ora vi ho detto tutte queste cose non per rimproverarvi, ma per indurvi all’amore: amatevi gli uni gli altri.