
SECONDA DOMENICA DI PASQUA – ANNO C
26 Aprile 2025 / by Padre Angelico / Commenti al vangelo / chiodi, costato, discepoli, dito, gesu, il-ritorno-di-gesù, padre-angelico-maria-moccia, padri-della-chiesa, SEGNI, tommaso, veduto
Vangelo Commentato da San Tommaso D’Aquino
SECONDA DOMENICA DI PASQUA – ANNO C
Vangelo di Giovanni 20, 19-31
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, ha creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!». Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro, Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Dopo aver narrato le apparizioni di Cristo alle pie donne, in questo brano l’Evangelista parla delle apparizioni fatte agli apostoli.
In primo luogo dell’apparizione in cui apparve loro in gruppo a Gerusalemme in assenza di Tommaso; in secondo luogo di quella che egli fece loro presente Tommaso (vv. 26ss.): «Otto giorni dopo, ecc.); in terzo luogo di quella che fece ad alcuni di essi in particolare presso il mare (cap. 21): «Dopo questi fatti, Gesù si manifestò, ecc.».
A proposito di quella prima apparizione vengono riferite due cose: primo, l’apparizione del Signore; secondo, il dubbio da parte di un discepolo (vv. 24s.): «Tommaso, uno dei dodici, ecс.».
Nel trattare del primo tema vengono precisati tre particolari: primo, l’apparire del Signore; secondo, l’investitura loro fatta di un ufficio (v. 21): «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così io mando voi»; terzo, il conferimento di un potere spirituale (vv. 22s.): «Dopo aver detto questo, alitò su di loro, ecc.».
A proposito dell’apparizione stessa distingue tre cose: primo, ne indica le circostanze; secondo, ne riferisce i contenuti: «Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro, ecc.»; terzo, ne indica le conseguenze: «E i discepoli gioirono nel vedere il Signore».
Descrive dunque l’apparizione del Signore ai discepoli notando quattro circostanze: primo, l’ora in cui avvenne: «la sera»; secondo, il giorno: «in quello stesso giorno»; terzo, la disposizione del luogo: «mentre erano chiuse le porte»; quarto, lo stato d’animo dei discepoli: «si trovavano riuniti per timore dei giudei».
L’ora dell’apparizione fu dunque la sera: e ciò per due motivi di ordine storico-letterale. Prima di tutto perché voleva apparire a tutto il gruppo; perciò attese la sera, in modo che quanti di giorno si erano dispersi, si radunassero insieme la sera: di notte infatti essi stavano insieme.
In secondo luogo perché il Signore appariva loro per confortarli. Perciò scelse quell’ora in cui, più colpiti dallo stupore, avevano maggior bisogno di conforto: cioè la sera. Vedi Sal 54, 2: «Aiuto nelle tribolazioni le quali ci hanno gravemente colpiti».
C’è poi anche una ragione mistica: perché alla fine del mondo il Signore apparirà ai fedeli quando a mezzanotte si udrà il grido: «Ecco viene lo sposo!», per rendere a ciascuno la sua mercede. Vedi Mt 20, 8: «Quando fu sera il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga».
Il giorno di detta apparizione fu il giorno stesso della risurrezione: «La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato…», ossia la domenica, di cui sopra abbiamo parlato (vedi v. 1: «Nel giorno dopo il sabato…»), con relativa spiegazione della frase: «… il primo dopo il sabato» [n. 2471].
Ora, dai quattro Vangeli possiamo ricavare che il Signore apparve cinque volte in questo giorno. Cioè: due volte alle donne, una volta alla sola Maddalena, come sopra abbiamo visto, e poi ancora assieme alle altre donne, mentre tornavano dal sepolcro; e fu allora che si avvicinarono e ne abbracciarono i piedi. La terza volta apparve ai due discepoli che in quel giorno andavano ad Emmaus (vedi Lc 24, 13 ss.). La quarta volta a Simon Pietro; però quando e come non è detto, ma solo è detto che gli apparve (vedi Lc 24, 34): «Il Signore è veramente risorto, ed è apparso a Simone». La quinta volta apparve a tutti in gruppo riuniti quella sera, come qui viene narrato. Ecco perché nella liturgia si canta: «Questo è il giorno che ha fatto il Signore, esultiamo e rallegriamoci in esso» (Sal 117, 24).
Ciò lascia intendere che nel giorno della risurrezione universale Cristo apparirà manifestamente a tutti: alle donne, ai peccatori, ai pellegrini, agli apostoli e agli uomini apostolici; poiché sta scritto: «Ognuno lo vedrà, anche quelli che lo trafissero» (Ap 1, 7).
La disposizione del luogo è indicata dalla frase: «mentre erano chiuse le porte…». In senso letterale e storico esse erano chiuse per l’ora tarda, essendo già notte, e «per timore dei giudei». Ma per Cristo il motivo di quella chiusura era quello di mostrare loro la virtù del suo potere, entrando a porte chiuse.
A proposito di questo fatto, secondo alcuni entrare a porte chiuse rientrerebbe tra le proprietà del corpo glorificato, cosicché questo, per una condizione ad esso inerente, potrebbe coesistere nel medesimo spazio con un altro corpo in quanto è corpo glorioso. E ciò sarebbe avvenuto e potrà ancora avvenire senza miracolo.
Questo però non è ammissibile; perché l’incompossibilità del corpo umano non glorificato a occupare lo spazio di un altro corpo è dovuto alla natura. Quindi per affermare che il corpo glorioso ha in sé la proprietà di poter coesistere nello stesso spazio con un altro corpo, bisogna escludere da esso quella proprietà per cui adesso è impedito di trovarsi insieme con un altro corpo. Ora, tale proprietà in nessun modo è separabile, o eliminabile dal corpo; perché non si tratta di corporeità matematica, come essi dicono, ma delle stesse dimensioni del corpo quantificato, di cui la dislocazione nello spazio è una proprietà. Ecco perché il Filosofo confuta coloro [platonici] che ritenevano coesistenti le idee con le cose materiali.
Anche nell’ipotesi che tutto lo spazio esistente sopra la terra fosse vuoto, un corpo visibile non potrebbe coesistere nel medesimo spazio con altri corpi, per le dimensioni della sua quantità. Ora, nessuna delle proprietà del corpo glorioso può eliminare le dimensioni da un corpo, rimanendo in esso la natura del corpo. Perciò bisogna dire che Cristo entrò a porte chiuse per virtù della sua Divinità. E ogni qual volta avvenisse qualcosa di simile per opera dei santi, sarebbe da ritenersi un fatto miracoloso, e sempre con un nuovo miracolo.
Ciò è detto espressamente e da Agostino e da Gregorio. Dice infatti Agostino: «Domandi in che modo poté egli entrare a porte chiuse? Ma se comprendi il modo non è più un miracolo. Dove la ragione non basta, là si edifica la fede». E aggiunge: «Di entrare a porte chiuse fu concesso a colui che nel nascere lascio inviolata la verginità della madre». Perciò come fu miracolosa la sua nascita dalla vergine madre, per virtù della sua Divinità, così fu miracoloso questo suo entrare a porte chiuse.
In senso mistico ciò lascia intendere che Cristo compare a noi quando le porte, ossia i sensi esteriori, sono chiuse nella preghiera. Vedi Mt 6, 6: «Ma tu quando preghi entra nella tua camera, chiudi la porta, ecc.». Così pure alla fine del mondo le sole vergini preparate entreranno alle nozze, e poi sarà chiusa la porta, come si legge in Mt 25, 10.
La stessa disposizione dei discepoli viene rilevata a nostra edificazione: «essi si trovavano riuniti»; il che non è privo di significato. Cristo infatti viene da coloro che sono riuniti, così pure lo Spirito Santo discese sui discepoli radunati: perché Cristo e lo Spirito Santo sono presenti solo a coloro che sono uniti nella carità. Vedi Mt 18, 20: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo ad essi».
«Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro, ecc.». A questo punto viene narrata l’apparizione stessa di Cristo, dando rilievo a tre particolari: primo, alla presenza di Cristo che egli volle loro manifestare; secondo, al saluto che egli loro indirizzò; terzo, alla certezza che volle loro assicurare.
Cristo offrì loro la sua presenza al di fuori di ogni dubbio, poiché «venne e si fermò in mezzo ai suoi discepoli». Venne personalmente lui stesso, come sopra aveva promesso: «Vado e tornerò da voi». Ma «si fermò in mezzo a loro», perché tutti lo riconoscessero con certezza. Ecco perché vengono rimproverati i giudei che non lo riconobbero. Vedi sopra, 1, 26: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete».
Inoltre «egli si fermò in mezzo ai discepoli» per mostrare la sua conformità con essi nella natura umana. Vedi Eccli 50, 13: «L’attorniava una corona di fratelli come rampolli di cedro sul monte Libano». E volle fermarsi nel mezzo per condiscenza, poiché tra loro fu come uno di essi. Vedi Eccli 32, 1: «T’hanno fatto capotavola? Non metter su superbia: sii tra loro come uno di essi»; e in Lc 22, 27 si legge: «Io sono stato in mezzo a voi come uno che serve». Finalmente si fermò in mezzo per indicare che noi dobbiamo custodire il giusto mezzo della virtù. Vedi Is 30, 21: «Questa è la strada: percorretela senza deviare né a destra né a sinistra». Chi infatti eccede esagerando devia a destra; e chi è manchevole in meno devia a sinistra.
Cristo rivolse loro parole di saluto: «Pace a voi!». Di questa avevano proprio bisogno; perché la loro pace era turbata sotto vari aspetti. Era turbata nei riguardi di Dio, contro il quale alcuni avevano peccato col rinnegamento e con la fuga. Vedi Mt 26, 31: «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge». Contro questo peccato Cristo offriva loro la pace della riconciliazione con Dio, da lui conclusa con la Passione. Vedi Rm 5, 10: «Siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo».
La pace era stata turbata in loro stessi; perché erano tristi e dubbiosi nella fede. Ebbene egli proponeva anche questa pace. Vedi Sal 118, 165: «Grande pace per chi ama la tua legge».
Finalmente la pace era turbata rispetto agli estranei; perché essi erano perseguitati dai giudei. E contro tali persecuzioni egli dice: «Pace a voi». Vedi sopra, 14, 27: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace».
Quindi propose loro la sua certa apparizione mostrando le mani e il costato («Detto questo, mostrò loro le mani e il costato») perché specialmente in essi erano rimasti i segni della Passione. Vedi Lc 24, 39: «Guardate le mie mani e i miei piedi, ché sono proprio io». Così egli si mostrerà anche nella gloria. Vedi sopra 14, 23: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola… e noi verremo a lui»; e prima ancora (v. 21) afferma: «E io mi manifesterò a lui».
«E i discepoli gioirono nel vedere il Signore». Viene qui indicato l’effetto della suddetta apparizione: la gioia nel cuore dei discepoli al vedere il Signore, gioia che egli sopra (16, 22) aveva promesso: «Vi vedrà di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà». Tale gioia però sarà completa nella patria, per i buoni, con l’aperta visione di Dio. Vedi Is 66,14: «Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come erba fresca».
«Gesù disse loro di nuovo…». Qui il Signore assegna agli apostoli il loro ufficio.
Ma per prima cosa premette il vincolo della pace; in secondo luogo assegna loro l’ufficio: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi».
«Disse loro di nuovo: Pace a voi!». In questo caso augura loro la pace contro una seconda perturbazione: infatti contro la presente persecuzione da parte dei giudei aveva già detto loro la prima volta: «Pace a voi!». Ma contro la persecuzione provocata dai gentili «egli disse di nuovo: Pace a voi!». Vedi sopra, 16, 33: «Nel mondo voi avrete tribolazione», mentre «in me avrete la pace». Infatti essi sarebbero stati inviati alle genti.
Ecco perché subito dopo affida loro l’ufficio: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». E con ciò egli mostra di essere il mediatore tra Dio e gli uomini (vedi 1 Tm 2, 5: «Uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo…»). E diceva questo a conforto dei discepoli, i quali, conoscendo il potere di Cristo, sapevano di essere inviati da lui con l’autorità di Dio. Inoltre essi consideravano così la propria dignità: ossia che avevano ricevuto l’ufficio proprio di apostoli, ossia di inviati.
Perciò afferma: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi»; cioè, come il Padre, perché mi ama, ha mandato me nel mondo ad affrontare la Passione per la salvezza dei fedeli (vedi sopra, 3, 17: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui»), così io, perché vi amo, vi mando ad affrontare tribolazioni nel mio nome. Vedi Mt 10, 16: «Ecco io vi mando come percorre in mezzo ai lupi».
In secondo luogo viene loro concessa l’idoneità per compiere il proprio ufficio con il dono dello Spirito Santo. Vedi 2Cor 3, 6; «Ci ha resi ministri idonei della nuova alleanza, non con la lettera ma con lo Spirito».
Ecco perché il testo così prosegue: «Dopo aver detto questo, alitò su di loro, e disse, ecc.». E nel conferire così lo Spirito per prima cosa ne volle dare un segno ossia l’insufflazione: «alitò su di loro». Abbiamo un gesto consimile nella Genesi (2, 7): «Dio soffiò nelle sue narici un alito di vita…». Era allora uno spirito di vita naturale che l’uomo depravò; ma Cristo lo restaurò dando lo Spirito Santo.
Non si pensi però che quell’alito di Cristo fosse lo Spirito Santo, bensì il segno di esso. Ecco perché Agostino ha scritto nel De Trinitate: «Quell’alito corporeo non era la sostanza dello Spirito Santo, ma il segno, mediante un gesto significativo, che lo Spirito Santo procede non solo dal Padre ma anche dal Figlio».
Si deve notare che lo Spirito Santo due volte discese su Cristo e due volte sui discepoli. In Cristo discese la prima volta sotto forma di colomba nel battesimo (vedi sopra, 1, 31s.), e sotto forma di nube nella trasfigurazione (vedi Mt 17, 5). E la ragione sta nel fatto che la grazia di Cristo, che ci viene conferita dallo Spirito Santo, doveva discendere fino a noi, sia attraverso i sacramenti (perciò nel battesimo discese sotto forma di colomba, che è un animale fecondo), sia attraverso l’insegnamento, e per questo discese sotto forma di nube luminosa. Ed è per questo che in tali circostanze si accenna al compito del Maestro: «Ascoltatelo!».
Sugli apostoli invece discese per la prima volta sotto forma di alito, per designare la propagazione della grazia ad opera dei sacramenti, di cui essi erano ministri. Ecco perché aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi». E in Mt 28, 19 si legge: «Andate dunque, …e battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». La seconda volta discese sotto forma di lingue di fuoco, per indicare la propagazione della grazia mediante l’insegnamento. Perciò in At 2, 4 si narra, che appena essi furono ripieni di Spirito Santo, subito presero a parlare.
In secondo luogo l’Evangelista riferisce le parole di quell’atto di donazione: «Ricevete lo Spirito Santo…».
Ma che forse fin da allora essi ricevettero lo Spirito Santo?
Parrebbe di no: perché Cristo non era ancora salito al cielo, per poter dare i suoi doni agli uomini. Tanto più che secondo alcuni, come riferisce il Crisostomo, Cristo qui non diede lo Spirito Santo, ma preparò gli apostoli a riceverlo per la Pentecoste. E sono spinti a tale conclusione dal fatto che Daniele, stando al suo racconto (Dn 10, 8), non era stato in grado di sopportare la visione di un angelo. Perciò i discepoli, senza esservi preparati, non avrebbero potuto sopportare la venuta dello Spirito Santo. Tuttavia il Crisostomo stesso risponde: Lo Spirito Santo fu allora dato ai discepoli, ma non universalmente per tutti i compiti: bensì per un determinato effetto, ossia per rimettere i peccati; come altrove (Mt 10, 8) era stato loro conferito per compiere miracoli.
Agostino e Gregorio dicono che lo Spirito Santo ha di mira i due precetti della carità, verso Dio e verso il prossimo. Perciò in un primo momento egli fu dato sulla terra per ricordare il precetto dell’amore del prossimo; in un secondo momento fu dato dal cielo per ricordare il precetto dell’amore di Dio.
In terzo luogo viene indicato il frutto di quella donazione: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi». Ora, la remissione dei peccati è un effetto che ben si addice allo Spirito Santo; poiché egli è carità, e per mezzo di lui ci viene data la carità. Vedi Rm 5, 5: «La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori, per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato». Ebbene, la remissione dei peccati non viene prodotta che dalla carità; poiché «la carità ricopre tutte le colpe» (Pr 10, 12). E in 1Pt 4, 8 si legge: «La carità copre una moltitudine di peccati».
A questo punto nascono dei problemi. Primo, a proposito dell’affermazione: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi…»; perché i peccati li rimette Dio soltanto. In proposito alcuni rispondono che la colpa la rimette Dio soltanto; ma il sacerdote si limita ad assolvere dal reato della pena, e a denunziare che il penitente è assolto dalla macchia della colpa.
Ma questo non è vero; poiché il sacramento della penitenza, essendo un sacramento della nuova legge, conferisce la grazia, come la conferisce il battesimo. Ma nel battesimo il sacerdote battezza quale strumento, e tuttavia conferisce la grazia; perciò allo stesso modo nel sacramento della penitenza egli assolve in modo sacramentale e ministeriale sia dalla pena, sia dalla colpa, in quanto conferisce il sacramento nel quale sono rimessi i peccati.
L’affermazione che Dio solo rimette i peccati è vera nel senso che lui solo può farlo d’autorità propria. Ma in tal senso solo Dio battezza; il sacerdote però battezza come ministro, secondo le spiegazioni date.
In secondo luogo, a proposito di tutta la frase nel suo contesto («Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati…», sembra che si debba concludere: dunque chi non ha lo Spirito Santo non può rimettere i peccati.
A ciò si risponde che se la remissione dei peccati fosse un’opera personale del sacerdote, ossia se egli lo facesse per virtù propria, non potrebbe certo santificare, senza essere santo. Ma la remissione de peccati è opera propria di Dio, il quale rimette i peccati per virtù e autorità propria; ma è opera del sacerdote solo quale strumento. Perciò come un padrone mediante il proprio servo, sia egli buono o cattivo, può eseguire la sua volontà nel compiere una data opera; cosi il Signore può conferire i suoi sacramenti con cui distribuisce la grazia mediante i suoi ministri, anche se cattivi.
In terzo luogo si discute come interpretare quelle parole: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimettere te resteranno non rimessi».
A ciò si risponde che il sacerdote, come sopra abbiamo detto, nei sacramenti agisce quale ministro di Dio. Vedi 1Cor 4, 1: «Noi dobbiamo essere considerati come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio». Perciò allo stesso modo che Dio rimette e ritiene i peccati, così li rimette e li ritiene il sacerdote. Ora, Dio rimette i peccati elargendo la grazia; e si dice che li ritiene non elargendola per qualche impedimento da parte di chi dovrebbe riceverla. Ebbene, allo stesso modo il ministro rimette i peccati in quanto conferisce il sacramento della Chiesa; e li ritiene in quanto dichiara che alcuni sono indegni di ricevere i sacramenti.
Dopo aver narrato l’apparizione del Salvatore, l’Evangelista passa a riferire il dubbio di un discepolo.
Per prima cosa ne segnala l’assenza; in secondo luogo indica la comunicazione a lui fatta dai condiscepoli: «Gli dissero allora gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore»; in terzo luogo descrive la sua persistente incredulità.
Il discepolo assente viene indicato anzitutto col nome: «Tommaso», che significa abisso, o gemello. Ora, nell’abisso si riscontrano due cose: profondità e oscurità. Dunque Tommaso era un abisso per l’oscurità della sua incredulità, dovuta a sé stesso; ed era un abisso per la profondità della misericordia a lui accordata da Cristo. A lui si applicano le parole del Salmo (41, 8): «L’abisso invoca l’abisso»; l’abisso della profondità, ossia Cristo, chiama l’abisso dell’oscurità, cioè Tommaso, lo chiama per usargli misericordia. E l’abisso dell’ostinazione, ossia Tommaso, invoca l’abisso della profondità, cioè Cristo, per confessarne la fede.
In secondo luogo viene indicato dalla dignità: «uno dei dodici». Non che allora fossero proprio dodici; poiché Giuda era deceduto (vedi Mt 27, 5); ma è detto uno dei dodici, perché era stato eletto a quella dignità, che Dio aveva consacrato col numero dodici. Vedi Lc 6, 13: «Ne scelse dodici, che chiamò apostoli». E questo numero volle che rimanesse sempre integro.
In terzo luogo Tommaso viene descritto col significato etimologico del suo nome: «chiamato Didimo». Infatti Tommaso è nome siriaco, o ebraico, che ha due significati: gemello e abisso. Ora, gemello in greco si dice didimo: e poiché Giovanni compose in greco il suo Vangelo, lo denominò Didimo. E Tommaso fu detto appunto gemello perché forse apparteneva alla tribù di Beniamino, nella quale alcuni, o forse tutti erano detti gemelli. Oppure può essere ciò in riferimento al suo dubbio; poiché chi è certo è stabile per un’unica parte; mentre chi dubita sceglie una parte, ma nel timore che sia preteribile l’altra.
Questo Tommaso, dunque, «non era con loro quando venne Gesù»; perché era rientrato più tardi degli altri che durante il giorno come lui se ne stavano dispersi; e così perse il conforto dell’apparizione del Signore, il suo augurio di pace e l’afflato dello Spirito Santo. Da ciò siamo ammoniti a non separarci dalla comunità. Vedi Eb 10, 25: «Non disertate le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare». Però, come nota Gregorio, non avvenne per caso, ma per volontà di Dio, che questo discepolo scelto fosse allora assente; ciò fu disposto dalla bontà divina, perché quel discepolo, mentre nella sua incredulità pretese di palpare le piaghe della carne nel suo Maestro, guarisse in noi le piaghe dell’incredulità.
Perciò in questo si rivelano sommamente i disegni dell’arcana misericordia di Dio. Prima di tutto nel fatto che egli ama tanto il genere umano, da permettere che accadano talora delle tribolazioni ai suoi eletti, affinché ne derivi del bene al genere umano. Per questo infatti egli permise che fossero tribolati gli apostoli, i Profeti e i santi martiri. Vedi Os 6, 5: «Per questo li ho colpiti nei Profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca». E Paolo ha scritto (2Cor 1, 6): «Quando siamo tribolati è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo». Ma quello che è ancora più mirabile è che Dio permetta che qualche santo cada in peccato per nostra istruzione. Infatti perché permise che certi santi e certi giusti peccassero gravemente (come nel caso di David che fu adultero e omicida), se non per insegnarci a essere più cauti e più umili? Affinché chi crede di stare in piedi stia attento a non cadere; e chi cade si affretti a risorgere. Di qui le parole di Ambrogio all’imperatore Teodosio: «Lo hai imitato nel peccato, cerca di imitarlo nella penitenza». Ecco perché Gregorio afferma che «fu più utile a noi, per la nostra fede, l’incredulità di Tommaso che la fede degli altri apostoli».
Nella frase successiva l’Evangelista riferisce la loro testimonianza: «Gli dissero allora gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore. Evidentemente Tommaso non era venuto subito dopo. Questo i discepoli lo fecero secondo l’ordine di Dio, di comunicare agli altri quello che si riceve da Dio. Vedi 1Pt 4, 10: «Ciascuno amministri la grazia che ha ricevuto, mettendola a servizio degli altri»; Is 21, 10: «Quello che ho udito dal Signore degli eserciti, dal Dio d’Israele, ve l’ho annunziato»; Gn 32, 30: «Ho visto il Signore, e la mia vita si è salvata».
«Ma egli disse loro, ecc.». Con questa frase viene riferita l’ostinazione di Tommaso nell’incredulità. Egli certo sarebbe stato scusabile nel non credere immediatamente; poiché sta scritto: «Chi subito crede è leggero di cuore» (Eccli 19, 4). Però il molto investigare, specialmente quando si tratta dei misteri di Dio, è segno di mente ottusa. Vedi Pr 25, 27: «Come a chi mangia troppo miele non giova, così chi si fa scrutatore della maestà sarà oppresso dalla gloria»; Eccli 3, 22: «Non cercare quel che è sopra di te e non scrutare ciò che sorpassa le tue forze. Ma ciò che ti è comandato da Dio meditalo sempre, e non essere curioso delle molte opere di lui».
Per quanto riguarda Tommaso c’è da pensare che fu duro nel credere e irragionevole nel domandare. Duro, perché non volle credere se non all’esperienza sensibile; e non di un solo senso, bensì di due sensi: della vista («Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi…») e del tatto («e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò»).
Fu poi irragionevole, perché chiese di vedere le piaghe quale prova della fede; mentre era molto di più il ripristino di tutto un uomo.
Sebbene però Tommaso dicesse ciò per la sua incredulità, tuttavia ciò avvenne, per volere di Dio, a nostra utilità ed edificazione. È certo infatti che chi ebbe il potere di restaurare in sé tutto l’uomo, aveva anche il potere di rimarginare le cicatrici delle piaghe; ma esse furono lasciate per nostra utilità.
Si tratta qui della seconda apparizione del Signore a tutti i discepoli, presente anche Tommaso.
Per prima cosa il testo riferisce l’apparizione di Cristo; in secondo luogo la confermazione del discepolo suddetto: «Poi disse a Tommaso, ecc.»; in terzo luogo abbiamo la ricapitolazione di quanto è stato scritto in questo Vangelo: «Molti altri segni fece Gesù, ecc.».
A proposito del primo tema l’Evangelista precisa tre cose: primo, indica il tempo dell’apparizione; secondo, indica le persone alle quali apparve; terzo, descrive il modo dell’apparizione.
Il tempo: ossia «otto giorni dopo» la risurrezione del Signore, nel quale giorno, di sera, era avvenuta la prima apparizione. E il primo motivo della dilazione, quello letterale inteso dall’Evangelista, fu di mostrare che sebbene Cristo apparisse più volte ai discepoli, tuttavia non era risorto per vivere con essi come prima; come del resto neppure noi risorgeremo al medesimo genere di vita. Vedi Gb 14, 14; «Aspetto tutti i giorni della mia milizia, finché arrivi per me l’ora del cambio». Il secondo motivo per tale dilazione fu quello di offrire a Tommaso il tempo di riascoltare dai condiscepoli l’apparizione precedente, di accendere maggiormente il suo desiderio, e di predisporlo a credere.
C’è poi una ragione mistica: tale apparizione stava a significare quella in cui Cristo apparirà a noi nella gloria. Vedi 1Gv 3, 2: «Sappiamo che quando egli apparirà noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così com’egli è». Ma tale apparizione ci sarà nell’era ottava, quella dei risorgenti.
Le persone cui Cristo apparve vengono indicate con quelle parole: «I discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso». Si noti che Tommaso soltanto aveva bisogno di questa apparizione; e tuttavia il Signore non apparve a lui singolarmente, ma mentre era in compagnia, per indicare che le singolarità non sono molto gradite a Dio, il quale preferisce quelli che vivono in comunione di carità. Vedi Mt 18, 20: «Dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo ad essi, ecc.». Inoltre si deve notare che le persone cui appariva in questo caso non si erano radunate tutte insieme e non tutte furono presenti alla prima apparizione; ma nell’apparizione finale tutti saranno riuniti insieme, senza che nessuno manchi. Vedi Mt 24, 28: «Dovunque sarà il corpo, là si raduneranno le aquile»; e ancora (ibid., v. 31): «Manderà i suoi angeli con la tromba e con grande voce a radunare i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli».
Ed ecco come viene descritto il suo modo di apparire: «Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi!». Di ciò sopra abbiamo già dato spiegazione. Tuttavia si notino quei tre particolari. Primo, il suo modo di introdursi: «a porte chiuse»; che fu un fatto miracoloso, come dice Agostino, mediante quella virtù con la quale aveva camminato sul mare a piedi asciutti. Secondo, il modo di presentarsi: «in mezzo a loro», per esser veduto da tutti; ed era giusto che stesse là in mezzo. Terzo, il suo modo di esprimersi: «Pace a voi!», pace per quella riconciliazione da lui compiuta con Dio. Vedi Rm 5, 10: «Siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo»; Col 1, 20: «Egli ha pacificato con il sangue della croce sia le cose della terra, sia le cose del cielo». Pace futura di eternità e di immortalità, che egli loro prometteva di conferire. Vedi Sal 147, 14: «Egli ha messo la pace nei tuoi confini». Pace inoltre di carità e di unità, che loro comandava di conservare. Vedi Mc 9, 49: «Siate in pace gli uni con gli altri».
«Poi disse a Tommaso, ecc.». A questo punto viene narrata la confermazione e la conversione del discepolo incredulo. E in questo appare il secondo segno della pietà divina, la quale subito soccorre i suoi eletti in caso di caduta, sebbene essi cadano in peccato. Infatti talora cadono anche gli eletti, come i reprobi; però in maniera differente: perché i reprobi si spezzano; agli eletti invece il Signore subito porge la mano perché risorgano. Vedi Sal 36, 24: «Se il giusto cade non si spezzerà, perché il Signore lo sostiene con la sua mano». E ancora nei Salmi (93, 18) si legge: «Se dicevo: Vacilla il mio piede; la tua misericordia, o Signore, mi aiutava».
Perciò a Tommaso che era caduto egli subito porse la mano, cosicché, avendo egli detto: «Se non vedo, non crederò», lo richiama subito dicendo: «Metti qua il tuo dito».
E in proposito vengono descritte tre cose: primo, l’ostensione delle cicatrici; secondo, la confessione di Tommaso: «Rispose Tommaso…; terzo, il rimprovero per la sua ostinazione: «Perché mi hai veduto, Tommaso, hai creduto…».
A proposito del primo tema si noti che Tommaso aveva posto delle condizioni per credere: vedere e toccare le cicatrici, come abbiamo visto. E se questo fosse avvenuto, aveva promesso di credere. Perciò il Signore, col dire quelle parole, e assistendolo con la presenza della sua Divinità, avendo soddisfatto a quelle condizioni lo riduce alla fede.
Ecco perché in primo luogo egli soddisfa le condizioni; e in secondo luogo chiede l’adempimento della promessa: «Non essere più incredulo, ma credente».
La condizione posta era quella di toccare le cicatrici, perciò gli dice: «Metti qua il tuo dito».
Qui però nasce un problema; poiché nei corpi glorificati non può esserci nessun difetto. Ora, le cicatrici sono dei difetti. E allora come si spiegano nel corpo di Cristo?
A ciò così risponde Agostino, nel suo libro De Symbolo: «Cristo avrebbe potuto togliere dal suo corpo glorificato ogni macchia o segno di cicatrici; ma egli aveva dei motivi per lasciare nel suo corpo quelle cicatrici. Anzitutto per mostrarle all’incredulo Tommaso, che esigeva di toccarle e di vederle; in secondo luogo per rimproverare con esse gli increduli e i peccatori. Non per dir loro come a Tommaso: Perché mi hai veduto tu hai creduto; ma per accusarli col dire: Ecco l’uomo che voi avete crocifisso. Guardate le piaghe che gli avete inflitte, riconoscete il costato che avete trafitto: poiché anche per voi fu aperto, ma voi avete rifiutato di entrare».
In connessione con questo, ci si chiede se nei corpi dei martiri rimangano i segni delle ferite subite. Ma anche a questo proposito Agostino risponde, nel De Civitate Dei (1, 22), che quei segni rimarranno non a disdoro, bensì a immenso decoro. «Nelle loro membra non vi sarà deformità alcuna, ma dignitoso decoro; e risplenderà nelle cicatrici una bellezza, se non corporea, certo di sublime virtù. I martiri però nella risurrezione dei morti non saranno privi di quelle membra che in terra ebbero amputate e straziate, essendo stato detto loro: Non perirà un capello del vostro capo. Ma là dove le membra sono state tagliate, colpite, o amputate, nelle membra restituite e non perdute appariranno le cicatrici».
Siccome però, stando a Gregorio, ciò che è incorruttibile non è palpabile, come fece il Signore a presentare al tatto il suo corpo che era incorruttibile? (vedi Rm 6, 9: «Cristo risorto dai morti non muore più»). Mosso da questo argomento, l’eretico Eutiche affermava che il corpo di Cristo e i corpi di tutti i risorti non saranno palpabili, bensì sottili e spirituali come il vento e gli spiriti.
Questo però è contro le parole di Cristo: «Palpate e guardate, perché lo spirito non ha carne e ossa come vedete che ho io» (Lc 24,39). Perciò il Signore si mostrò incorruttibile e insieme palpabile, per dimostrare che dopo la risurrezione il suo corpo era della stessa natura di quando era corruttibile, pur avendo rivestito l’incorruttibilità (cf. 1Cor 15, 53), e la gloria: poiché quanto prima era ignobile e corpulento, risuscitò nella gloria e sottile per effetto della sua potenza spirituale.
Ma il Signore aggiunge: «Guarda le mie mani», che furono appese alla croce. «Stendi la tua mano e mettila nel mio costato» trapassato dalla lancia; e riconosci che io sono lo stesso che fui sospeso alla croce.
In senso mistico il dito sta a indicare la discrezione, e la mano l’opera nostra. Perciò egli ci esorta a mettere e il dito e la mano nel suo costato, in modo da impegnare al servizio di Cristo tutto ciò che è a nostra discrezione. Vedi Gal 6, 14: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo».
E chiede l’adempimento della promessa: «E non essere incredulo, ma credente, fedele». Vedi Ap 2, 10: «Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita».
Nella frase seguente («Rispose Tommaso, ecc.») abbiamo la confessione di fede di Tommaso, nella quale si mostra che subito egli divenne un buon teologo, professando la vera fede. Fede nell’umanità di Cristo, con l’espressione: «Mio Signore» (così infatti lo chiamavano già prima della Passione. Vedi sopra, 13, 13: «Voi mi chiamate Maestro e Signore»); e fede nella sua Divinità, con l’espressione: «Mio Dio». Infatti prima essi non lo chiamavano Dio, a eccezione di quando Pietro affermò: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Vedi 1Gv 5, 20: «Egli è vero Dio e la vita eterna»; Sal 117, 28: «Mio Dio sei tu, io ti confesserò».
Il Signore passa poi a rimproverare l’ostinazione di Tommaso: «Perché mi hai veduto, Tommaso, hai creduto, ecc.».
Per prima cosa rimprovera la sua ostinazione; in secondo luogo elogia la prontezza di altri nel credere: «Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno».
Gli disse dunque: «Perché mi hai veduto, hai creduto…».
Ma in proposito nascono dei dubbi, dei problemi. Il primo è questo: poiché la fede «è sostanza di cose sperate e argomento delle non parventi» (Eb 11, 1), come fa il Signore a dire qui: «Perché mi hai veduto tu hai creduto»?
Si risponde però che una fu la cosa che egli vide e un’altra quella che credette: vide l’uomo e le cicatrici, e da ciò fu spinto a credere la Divinità del risorto.
Il secondo problema nasce dal fatto che a Tommaso, il quale aveva chiesto: «Se non vedo e non tocco…», Dio presentò l’una e l’altra cosa, il toccare e il vedere. Dunque avrebbe anche dovuto dire: Poiché hai veduto e toccato, tu hai creduto.
RISPOSTA. Come nota Agostino, noi nominiamo la vista per indicare qualsiasi altro senso. Diciamo infatti: Vedi come scotta, o come suona, come è gustoso, come odora. Perciò Cristo gli dice: «Metti qua il tuo dito, e vedi…», non perché nel dito c’è la vista; ma per dire: Tocca e accertati. Così pure in questo caso, nel dire, «perché mi hai veduto», era come se avesse detto: Perché mi hai toccato.
Oppure si può rispondere che Tommaso, vedendo le piaghe e le cicatrici, rimase confuso e credette prima di toccare col dito, dicendo: «Signore mio, Dio mio». Tuttavia Gregorio afferma che egli toccò e confessò la fede dopo aver veduto.
Con la frase successiva («Beati quelli che pur non avendo visto crederanno») il Signore esalta la felicità di coloro che credono senza vedere; e questo riguarda specialmente noi. Usa poi il verbo al passato (viderunt e crediderunt) per il futuro, per sottolineare la certezza della cosa enunziata.
In contrario però stanno le parole evangeliche, Lc 10, 23: «Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete». Perciò sono più beati coloro che hanno veduto, che quelli che non han veduto.
RISPOSTA. Esistono due tipi di beatitudine. C’è una beatitudine reale, di fatto, che consiste nel dono di Dio, del quale quanto più uno riceve, tanto più è beato. E in questo senso sono beati gli occhi che vedono, perché è un dono di grazia. Ma c’è una seconda beatitudine, che è quella della speranza, la quale consiste nel merito; e secondo questa beatitudine tanto più uno è beato, quanto più è in grado di meritare. Ebbene, merita di più chi crede senza aver veduto, che chi crede dopo aver visto.
«Molti altri segni fece Gesù, ecc.». Qui abbiamo l’epilogo, in cui per prima cosa viene affermata l’insufficienza dello scritto; in secondo luogo se ne rileva l’utilità: «Questi segni sono stati scritti perché crediate…».
L’insufficienza appare dal fatto, che «molti altri segni fece Gesù, che non sono scritti in questo libro». Vedi Gb 26, 14: «Ecco questi non sono che i margini delle sue opere; quanto lieve è il sussurro che noi ne percepiamo! Ma il tuono della sua potenza chi può comprenderlo?». E nell’Eccli 43, 36 si legge: «Molte cose nascoste ci sono maggiori di queste, poiché è poco quello che noi vediamo».
Stando al Crisostomo, l’Evangelista dice così, perché pochi sono i miracoli narrati da Giovanni a confronto degli altri Evangelisti. Perciò, per non sembrare che volesse negare questi altri, ha fatto tale dichiarazione: «Molti altri segni… che non sono scritti in questo libro».
Oppure egli ha voluto riferirsi alla Passione e alla risurrezione; per dire che Cristo fece molte cose per manifestare la sua risurrezione al cospetto dei suoi discepoli, che però non mostrò agli altri. Vedi At 10, 40s.: «E volle che apparisse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio».
Viene poi affermata l’utilità della Scrittura, perché il suo effetto è quello della fede: «Questi [segni] sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo abbiate la vita nel suo nome». Questo è infatti lo scopo di tutta la Scrittura del Nuovo e dell’Antico Testamento. Vedi Sal 39, 9: «Sulla testata del libro di me è scritto…»; e sopra, 5, 39 abbiamo letto: «Scrutate le Scritture…; ebbene, sono esse che mi rendono testimonianza».
Inoltre viene ricordato il frutto della vita; «perché credendo abbiate la vita nel suo nome». Qui sulla terra si ha la vita di giustizia, che promana dalla fede (vedi Ab 2, 4: «Il mio giusto vive di fede»); e nel futuro la vita della visione faciale che si ha nella gloria. Vita sempre però «nel nome di lui», cioè di Cristo. Vedi At 4, 12: «Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possano essere salvati».