XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C


Vangelo Commentato dai Padri

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Vangelo di Luca 10,25-37

In quel tempo, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?».
Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre.
Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».

VERSETTI 25-28

Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova e disse: Maestro, che devo fare per possedere la vita eterna? Gesù rispose: Che cosa sta scritto nella legge? In che modo leggi? Costui rispondendo disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù: Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai.

BEDA: In precedenza il Signore aveva detto che i loro nomi sono scritti nei cieli; perciò penso che da questo un esperto della Legge abbia tratto lo spunto per tentare il Signore; pertanto si dice: Ed ecco un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova.

CIRILLO: Infatti c’erano dei parolai che percorrevano tutta la regione dei Giudei e accusavano il Signore dicendo che egli affermava che la Legge di Mosè era inutile, mentre di fatto egli proponeva alcune nuove dottrine. Perciò un dottore della legge, volendo sedurre il Signore perché dicesse qualche cosa contro Mosè, si accosta a lui per tentarlo, chiamandolo Maestro, sebbene non sopporti di venire ammaestrato. E poiché il Signore era solito parlare di vita eterna a coloro che si recavano da lui, egli usa il suo linguaggio. E poiché lo tentava astutamente, non riceve alcun’altra risposta che il comando dato da Mosè; perciò segue: Gesù gli disse: Che cosa sta scritto nella Legge? In che modo leggi?

AMBROGIO: Tra coloro che si ritenevano dottori della Legge ce n’erano alcuni che, pur ritenendo le parole della Legge, di fatto ignoravano la forza della Legge. Partendo da un capitolo della Legge stessa il Signore dimostra loro che ignorano la legge, mostrando che sin dall’inizio essa parlava del Padre e del Figlio e annunziava il mistero dell’Incarnazione del Signore. Perciò continua: e costui rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente.

BASILIO: Con l’espressione: con tutta la tua mente, egli non ammette una divisione dell’amore verso altre cose, perché qualsiasi amore tu riversi su altre cose inferiori esso viene necessariamente sottratto al tutto. Infatti come in un vaso pieno di liquido, quanto fuoriesce fa diminuire la sua pienezza, così anche nell’anima, nella stessa misura in cui essa riversa il suo amore verso cose illecite, necessariamente diminuisce il suo amore verso Dio.

GREGORIO NISSENO: Ora, nell’anima si distinguono tre facoltà. Infatti una è la facoltà accrescitiva e nutritiva che si trova anche nelle piante; un’altra che è relativa ai sensi ed è presente nella natura degli animali irrazionali; ma la facoltà perfetta si trova nell’anima razionale, che si riscontra nella natura umana. Perciò indicando il cuore, egli significava la sostanza corporea, ossia nutritiva; invece indicando l’anima, significava la sostanza mediana, ossia quella sensitiva; indicando poi la mente significava la natura più alta, cioè la potenza intellettiva e deliberativa.

TEOFILATTO: Perciò qui si deve intendere che occorre che noi sottomettiamo ogni facoltà dell’anima all’amore divino, e questo in modo virile e non blandamente. Perciò soggiunge: e con tutte le tue forze.

MASSIMO: Perciò con questa intenzione (finalità) la Legge ordinava un triplice amore verso Dio, per distoglierci da un triplice rapporto con il mondo, che riguarda il possesso, la gloria e il piacere, cose nelle quali fu tentato anche il Cristo.

BASILIO: Se qualcuno domanda in che modo si può ottenere l’amore di Dio, diciamo che l’amore di Dio non si può insegnare: infatti noi non apprendiamo a godere della presenza della luce o ad accogliere la vita da un altro, oppure ad amare i genitori oppure gli alunni; e ancora di più non possiamo apprendere la dottrina dell’amore divino. Ma una certa ragione seminale è impiantata interiormente in noi, e fornisce i motivi per cui l’uomo aderisce a Dio; accogliendo questa ragione seminale ci si abitua a coltivare i divini precetti in modo diligente e ad alimentarli con cautela e a portarli alla perfezione della grazia divina. Infatti noi amiamo naturalmente il bene; amiamo inoltre ciò che ci appartiene o ci è affine e riversiamo spontaneamente tutto il nostro affetto sui nostri benefattori. Ora, se Dio è buono, e tutte le cose desiderano il bene, che è operato volontariamente, egli è naturalmente in noi; e sebbene secondo la bontà noi siamo lontani dal conoscerlo, tuttavia per il solo fatto che procediamo da lui, siamo tenuti ad amarlo intensamente, come se fosse un nostro parente. Inoltre è un benefattore più grande di tutti coloro che noi amiamo naturalmente. Perciò il primo e principale comandamento riguarda l’amore di Dio, mentre il secondo integra il primo e viene integrato da esso; con tale comandamento siamo esortati ad amare il prossimo; perciò si prosegue: e il prossimo tuo come te stesso. Noi otteniamo da Dio la potenza di realizzare questo comandamento. Ora, chi non sa che l’uomo è un animale mansueto e socievole, non solitario e selvatico? Infatti nulla è così proprio della nostra natura come comunicare scambievolmente e avere bisogno l’uno dell’altro e amare i propri congiunti. Perciò di quelle cose di cui egli ci ha dato i semi, ci chiede poi i frutti.

CRISOSTOMO: Ma osserva come quasi con lo stesso trasporto ci raccomanda tutti e due i comandamenti: infatti dice di Dio: con tutto il tuo cuore, e del prossimo: come te stesso. E se ciò venisse osservato diligentemente, non ci sarebbe più né schiavo né libero, né vincitore né vinto, né ricco né povero, e il diavolo non sarebbe neppure conosciuto; poiché la paglia sosterrebbe più facilmente il contatto con il fuoco che il demonio il fervore dell’amore.

GREGORIO: Ora, quando si dice: ama il prossimo tuo come te stesso, in che modo può essere pio colui che, avendo misericordia verso gli altri, è ingiusto con sé stesso vivendo in modo scorretto?

CRISOSTOMO: Dopo che il dottore della Legge ha ricordato le cose che erano contenute nella Legge, Cristo, al quale sono note tutte le cose, spezza le reti delle sue argomentazioni fallaci; infatti prosegue: E Gesù gli disse: hai risposto bene; fa’ questo e vivrai.

ORIGENE: Da queste parole si ricava in modo sicuro che la vita che viene predicata secondo il Creatore del mondo e le antiche Scritture da lui trasmesse, è la vita eterna. Ciò viene attestato dal Signore stesso nel Deuteronomio con il detto (6,4): ama il Signore Dio tuo; e nel Levitico (19,18) con il detto: ama il prossimo tuo come te stesso. Queste cose sono state dette contro i seguaci di Valentino, Basilide e Marcione. Infatti che altro ci chiede di fare per conseguire la vita eterna se non le cose contenute nella Legge e nei Profeti?

VERSETTI 29-37

Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: E chi è il mio prossimo? Gesù rispose: Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada, e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Similmente anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino, poi caricandolo sopra il suo giumento lo portò in una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente estrasse due denari e li diede all’albergatore dicendo: Abbi cura di lui, e ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che incappò nei briganti? Quegli rispose: Chi gli usò misericordia. Gesù gli disse: Va’ e anche tu fa’ lo stesso.

CIRILLO: Il dottore della Legge che viene lodato dal Salvatore, prorompe in un atto di superbia, pensando di non avere alcun prossimo, come se nessuno fosse paragonabile a lui nella giustizia; perciò si dice: Ma quegli volendo giustificarsi disse a Gesù: E chi è il mio prossimo? Lo circuiscono in qualche modo alternativamente i vizi: dalla fallacia, con cui aveva cercato di tentarlo, all’arroganza in cui cadde. Ora, per il fatto che chiede: Chi è il mio prossimo, egli dimostra di essere privo dell’amore per il prossimo; e di conseguenza, poiché non stima di avere alcun prossimo, anche dell’amore di Dio, perché, mentre non ama il prossimo che vede, non può amare Dio che non vede.

AMBROGIO: Egli risponde che non conosceva il suo prossimo anche perché non credeva in Cristo, e chi non conosce Cristo non conosce la Legge. Poiché infatti ignora la verità, in che modo può conoscere la Legge che annuncia la verità?

TEOFILATTO: Ora, il Salvatore determina chi sia il prossimo non mediante le azioni o gli onori, ma mediante la natura; come se dicesse: Non pensare che sebbene tu sia giusto, nessuno debba essere tuo prossimo: infatti tutti coloro che condividono la stessa natura, ti sono prossimi. Perciò divieni anche tu loro prossimo non nel luogo ma nell’affetto, e prenditi cura di loro; e a questo scopo porta l’esempio del Samaritano. Perciò prosegue: Gesù rispose: Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico.

Il GRECO: È buona la denominazione del genere; infatti non dice: scendeva un tale, ma: scendeva un uomo: infatti il discorso riguarda tutta l’umanità.

AGOSTINO: Infatti per questo uomo si intende lo stesso Adamo, che rappresenta il genere umano; per Gerusalemme la città della pace, ossia la città celeste, dalla beatitudine della quale è caduto; per Gerico si intende la luna che significa la nostra mortalità per il fatto che nasce, cresce, invecchia e tramonta.

AGOSTINO: Oppure con Gerusalemme, che viene intesa come visione della pace, intendiamo il Paradiso: infatti prima di peccare l’uomo era in una visione di pace, cioè nel Paradiso, dove tutto ciò che vedeva era pace e letizia. Di là scende, come umiliato e reso miserabile dal peccato, verso Gerico, ossia nel mondo dove tutte le cose che sorgono tramontano, come la luna.

TEOFILATTO: Ora, non dice: Scende, ma scendeva: infatti la natura umana tendeva sempre verso le cose più basse; e non per un tempo particolare, ma vi tendeva per tutta la vita mortale.

BASILIO: Ciò è conveniente anche se uno guarda ai luoghi: infatti Gerico occupa un’ampia valle della Palestina; invece Gerusalemme è situata su una cima, occupando il vertice di un monte. Perciò un uomo scende dall’alto verso il basso, tanto che viene assalito dai briganti che abitavano nel deserto: perciò si dice: e incappò nei briganti.

CRISOSTOMO: In primo luogo dobbiamo avere compassione della disavventura di quest’uomo, il quale, inerme e senza difese, incappa nei briganti; indubbiamente da imprudente e incauto egli sceglie una via dalla quale non potrà sottrarsi alle mani dei briganti; infatti lui, inerme, non potrà sfuggire a uomini armati; né lui, imprudente, a una gente pessima; né lui, incauto, a una gente maliziosa. Certo, poiché la malizia è sempre armata con l’inganno, coperta di crudeltà, munita di fallacia, preparata al furore della violenza.

AMBROGIO: Ma chi sono questi briganti se non gli angeli della notte e delle tenebre, nelle mani dei quali non sarebbe caduto se, deviando dal comando divino, non si fosse collocato sulla loro strada?

CRISOSTOMO: Pertanto all’inizio del mondo il diavolo operò contro l’uomo il suo ingannevole assalto, esercitò contro di lui il veleno del suo inganno e gli riservò tutta la cattiveria della sua malizia.

AGOSTINO: Perciò: incappò nei briganti, ossia nel diavolo e nei suoi angeli; i quali mediante la disobbedienza del primo uomo spogliarono tutto il genere umano, ossia dell’ornamento dei costumi, e lo ferirono, cioè con la perdita della capacità del libero arbitrio. Perciò prosegue: che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono. Infatti in quell’uomo che aveva peccato causò una ferita, mentre a noi procurò molte ferite, perché a causa di un peccato che abbiamo contratto abbiamo poi accumulato molti peccati.

AGOSTINO: Oppure spogliarono l’uomo dell’immortalità, e caricandolo di ferite mediante la persuasione a peccare, lo lasciarono mezzo morto: poiché dalla parte con cui può intendere e conoscere Dio, l’uomo è vivo, mentre dalla parte con cui è corrotto e abbattuto dal peccato, egli è morto. Per questo motivo soggiunge: lasciandolo mezzo morto.

AGOSTINO: Infatti il mezzo morto (semivivus) possiede il movimento vitale, ossia il libero arbitrio, ferito; perciò alla vita eterna che aveva perduto non è più in grado di fare ritorno: quindi giaceva, poiché le sue forze non erano sufficienti per risorgere, sicché era necessario un medico, cioè Dio, per guarire.

TEOFILATTO: Oppure si dice mezzo morto l’uomo dopo il peccato, perché l’anima è immortale mentre il corpo è mortale, sicché una meta dell’uomo sottostà alla morte; oppure perché la natura umana in Cristo sperava di ottenere la salvezza così da non sottostare interamente alla morte; ma in quanto Adamo ha peccato, la morte è entrata nel mondo; tuttavia nella giustificazione di Cristo la morte sarebbe stata distrutta.

AMBROGIO: Oppure ci spogliano degli indumenti della grazia spirituale che abbiamo ricevuto, e così hanno l’abitudine di causare le ferite; infatti, se conserviamo intatti gli indumenti che abbiamo ricevuto, non possiamo avvertire le ferite dei briganti.

BASILIO: Oppure si può intendere che è stato spogliato dopo avere subito le ferite: infatti le ferite precedono la nudità, così che tu intenda che il peccato precede l’assenza della grazia.

BEDA: Ora, si chiamano ferite i peccati perché da essi viene violata l’integrità della natura umana. Poi se ne andarono non abbandonando le loro insidie, ma nascondendo l’inganno delle loro insidie.

CRISOSTOMO: Così quest’uomo, ossia Adamo, giaceva sprovvisto dell’aiuto della salvezza, colpito dalle ferite dei suoi peccati, e a lui neppure il sacerdote Aronne, passandogli accanto, poté recare alcun vantaggio con il suo sacrificio; infatti continua: Per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada, e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Neppure suo fratello Mosè levita poté aiutarlo con la Legge; perciò continua: Similmente anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passo oltre.

AGOSTINO: Oppure nel sacerdote e nel levita si devono intendere due tempi, cioè della Legge e dei Profeti: nel sacerdote la Legge, con la quale furono istituiti il sacerdozio e i sacrifici; nel levita gli oracoli dei Profeti; ma nei loro tempi il genere umano non poté essere salvato perché per mezzo della Legge si dà la conoscenza del peccato, ma non la sua abolizione.

TEOFILATTO: Ora, dice passò oltre, perché la legge venne e rimase stabile fino al tempo prestabilito, poi, non essendo in grado di curare, cessò. Osserva inoltre che la Legge non fu data con l’intenzione previa di curare l’uomo, perché l’uomo non poteva ricevere sin dall’inizio il mistero di Cristo. Perciò viene detto: Per caso un sacerdote scendeva: siamo abituati a dire ciò di cose che non avvengono intenzionalmente.

AGOSTINO: L’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico si intende che fosse un Israelita, il che si può capire per il fatto che il sacerdote che passò oltre colui che giaceva era suo prossimo nell’origine; e passò anche un levita, il quale a sua volta disprezzò colui che giaceva e che gli era prossimo nell’origine.

TEOFILATTO: Essi ebbero compassione di lui quando considerarono la sua situazione, ma poi, vinti dall’egoismo, se ne andarono via. Infatti ciò viene indicato dalla parola: passò oltre.

AGOSTINO: Gli passa accanto un Samaritano, più lontano da lui quanto all’origine, ma più vicino quanto alla misericordia; ed egli fece ciò che segue: Invece un Samaritano che era in viaggio, passandogli accanto: in questo Samaritano il Signore nostro Gesù Cristo voleva che venisse inteso lui stesso. Infatti per Samaritano si intende il custode, e di lui si dice (Sal 120.4): «Ecco, non si addormenterà né dormirà chi protegge Israele», poiché «colui che risorge dal morti, più non muore» (Rm 6,9). Quindi, poiché di lui è stato detto (Gv 8,48): «Poiché sei un Samaritano e sei posseduto dal demonio», egli negò di avere un demonio, poiché sapeva di essere colui che espelleva i demoni, ma non negò di essere il custode dell’ammalato.

Il GRECO: Ora, qui il Cristo si chiama opportunamente Samaritano; infatti, rivolgendosi al dottore della Legge che si insuperbiva nella Legge, voleva dire che né il sacerdote, né il levita, né coloro che vivevano nella legge adempivano l’intenzione della Legge; mentre egli stesso avrebbe adempiuto tale intenzione.

AMBROGIO: Ora, questo Samaritano discendeva; infatti chi è colui che discende dal cielo se non chi ascende al cielo, cioè il Figlio dell’uomo che è in cielo? (Gv 3,13).

TEOFILATTO: Ora dice: era in viaggio, come se lo facesse di proposito, per curarci.

AGOSTINO: Venne nella somiglianza della carne del peccato, perciò vicino a lui nella somiglianza.

Il GRECO: Oppure venne lungo la via: infatti era un vero viandante e non un vagabondo, che discese sulla terra per amore nostro.

AMBROGIO: Ora, venendo è diventato un nostro vicino nella compassione per noi e con l’elargizione di misericordia. Perciò prosegue: lo vide e n’ebbe compassione.

AGOSTINO: Lo vide giacente per terra, invalido e immobile, perciò ne ebbe compassione, poiché non trovò in lui alcun merito per cui fosse degno di essere curato; ma egli stesso dal peccato ha condannato il peccato nella carne. Perciò prosegue: Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino.

AGOSTINO: Infatti che cosa c’è di così lontano, che cosa di così remoto come Dio rispetto agli uomini: l’immortale dai mortali, il giusto dai peccatori; lontano non localmente; ma nella dissomiglianza? Perciò avendo in sé due beni, cioè la giustizia e l’immortalità, e noi due mali, cioè l’ingiustizia e la mortalità, nel caso che egli avesse assunto entrambi questi mali, sarebbe diventato uguale a noi e avrebbe avuto bisogno come noi di un liberatore. Quindi per essere non ciò che noi siamo, ma per essere vicino a noi, egli non è un peccatore come sei tu; ma è diventato mortale come te, assumendo la pena ma non la colpa, e ha cancellato sia la colpa sia la pena.

AGOSTINO: La fasciatura delle ferite è il freno dei peccati, l’olio è la consolazione della buona speranza mediante il perdono dato per la riconciliazione dell’uomo; il vino è l’esortazione a operare fervorosamente nello spirito.

AMBROGIO: Oppure egli lega le nostre ferite con un comandamento più austero, e come con l’olio sostiene mediante la remissione dei peccati, con il vino rattrista il cuore con il timore del giudizio.

GREGORIO: Oppure nel vino egli applica il morso della costrizione, e nell’olio la dolcezza della misericordia; perché con il vino siano lavate le parti corrotte; con l’olio sia favorita la guarigione. Perciò dobbiamo mescolare la dolcezza con la severità, e combinare le due in modo tale che quanti sono posti sotto di noi non siano esasperati per la nostra eccessiva durezza, né assolti dalla nostra eccessiva benignità.

TEOFILATTO: Oppure in un altro senso. La comunione con l’uomo è l’olio, mentre la comunione con Dio è il vino; questo indica la divinità che nessuno può sostenere, a meno che non vi si aggiunga dell’olio, ossia la comunione con l’umano; perciò egli ha operato alcune cose umanamente e altre divinamente. Così egli ha versato olio e vino, perché ci ha salvato con l’umanità e con la divinità.

CRISOSTOMO: Oppure versò il vino, ossia il sangue della passione, e l’olio del crisma, affinché ci fosse il perdono con il sangue e la santificazione con l’unzione del crisma. Le parti ferite sono legate dal medico celeste e, trattenendo in sé stesse la medicina, mentre il medicamento produce il suo effetto, sono ricondotte alla salute iniziale. Perciò dopo aver versato (sulle ferite) l’olio e il vino, lo caricò sul suo giumento; quindi prosegue: poi caricandolo sopra il suo giumento lo portò in una locanda e si prese cura di lui.

AGOSTINO: Il suo giumento è la carne con cui egli si è degnato di venire tra noi; essere posto sul giumento è credere nella stessa incarnazione di Gesù Cristo.

AMBROGIO: Oppure carica su un giumento quando porta i nostri peccati e soffre per noi: infatti l’uomo è reso simile a un giumento, e quindi ci ha caricati sul suo giumento affinché non fossimo come il cavallo o il mulo: cosicché mediante l’assunzione del nostro corpo eliminasse le debolezze della nostra carne.

TEOFILATTO: Oppure caricò sul suo giumento, cioè sul suo corpo; infatti ci ha resi sue membra e partecipi del suo corpo. In effetti anche la Legge non accoglieva tutti: «I Moabiti (Dt 23,3) e gli Ammoniti non entreranno in eterno nella comunità del Signore»; mentre ora, fra tutte le genti, chi teme il Signore e vuole credere viene accolto da lui e diviene parte della Chiesa; perciò dice: lo portò in una locanda.

CRISOSTOMO: Infatti la locanda è la Chiesa, la quale, nel cammino del mondo, accoglie coloro che arrivano stanchi e prostrati dal peso dei peccati; dove, una volta deposto il peso dei peccati, il viandante stanco viene ristorato, e, una volta ristabilito, viene ricondotto al pascolo salutare; ed è quanto viene detto: e si prese cura di lui. Infatti tutto ciò che è contrario è nocivo e cattivo e sta fuori, perché nella locanda c’è la quiete e la salute.

BEDA: Giustamente condusse nella locanda colui che aveva caricato sul giumento, poiché nessuno che non sia stato unito mediante il battesimo al corpo di Cristo, entrerà nella Chiesa.

AMBROGIO: Ma poiché al Samaritano non restava molto tempo per vivere su questa terra, egli doveva fare necessariamente ritorno al luogo da dove era disceso; perciò continua: Il giorno seguente estrasse due denari e li diede all’albergatore dicendo: Abbi cura di lui. Che è quell’altro giorno, se non forse quello della risurrezione del Signore, di cui si dice nel Sal 117,24: «Questo è il giorno fatto dal Signore»? Ora, i due denari sono i due Testamenti, i quali contengono espressa in sé stessi l’immagine dell’eterno Re, dal cui prezzo le nostre ferite sono state guarite.

AGOSTINO: Oppure i due denari sono i due comandamenti della carità, che per opera dello Spirito Santo gli Apostoli ricevettero per evangelizzare gli altri; oppure la promessa della vita presente e futura.

ORIGENE: Oppure i due denari a me sembra che siano la conoscenza del mistero per cui il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre, conoscenza che viene donata quale mercede l’Angelo della Chiesa, affinché si prenda cura con più diligenza dell’uomo che gli è affidato, e che nella strettezza del tempo egli stesso aveva curato. E gli viene promesso che tutto ciò che avrebbe speso per la cura dell’uomo mezzo morto gli sarebbe stato rifuso; perciò continua dicendo: e ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno.

AGOSTINO: Il locandiere fu l’Apostolo, che spese di più o consigliando, come egli dice (1 Cor 7,25); «Rispetto alle persone vergini non ho nessun ordine del Signore e do un consiglio», oppure lavorando con le sue mani, per non disturbare nessuno dei deboli nella novità del Vangelo, sebbene gli fosse lecito nutrirsi con il Vangelo. Inoltre spesero di più gli Apostoli, ma spesero di più anche quei dottori che al loro tempo hanno interpretato l’Antico e il Nuovo Testamento, per cui riceveranno la loro ricompensa.

AMBROGIO: Perciò beato quel locandiere che può curare le ferite di un altro; beato colui al quale Gesù dice: ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno. Ma quando ritornerai, o Signore, se non il giorno del giudizio? Infatti sebbene tu ti trovi sempre in mezzo a noi, non sei percepito da noi; ma verrà il tempo in cui ogni carne ti vedrà al tuo ritorno. Perciò restituirai allora ciò che devi ai beati, verso i quali hai voluto essere debitore. Ma voglia il cielo che anche noi siamo pronti debitori, sicché siamo capaci di restituire ciò che abbiamo ricevuto.

CIRILLO: Perciò, dopo questi preamboli, il Signore interroga opportunamente il dottore della Legge, soggiungendo: Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che incappò nei briganti? Quegli rispose: Chi gli usò misericordia. Infatti né il sacerdote né il levita fu prossimo di chi soffriva, ma quegli che ebbe pietà di lui. Infatti sia la dignità del sacerdote sia la conoscenza della Legge sono inutili se non c’è la conferma delle opere buone; perciò continua: Gesù gli disse: Va’ e anche tu fa’ lo stesso.

CRISOSTOMO: Come se dicesse: Se vedi qualcuno oppresso, non dire: certamente è cattivo, ma sia che si tratti di un Giudeo o di un Gentile e ha bisogno di aiuto, non discutere se egli abbia bisogno o no della tua assistenza, qualunque sia il male che ha subito.

AGOSTINO: Da ciò comprendiamo che uno è nostro prossimo se dobbiamo esercitare verso di lui il dovere della misericordia nel caso che abbia bisogno, oppure se dovremmo esercitarlo nel caso che avesse eventualmente bisogno. Dal che segue che anche colui che a sua volta deve osservare questo dovere è nostro prossimo. Infatti quello di prossimo è un nome relativo, poiché uno non può essere prossimo che al suo prossimo. Ma chi non vede che il dovere della misericordia non può essere negato a nessuno? Poiché il Signore dice (Mt 5,44): «Fate del bene a coloro che vi odiano». Perciò è evidente che in questo precetto con cui ci viene comandato di amare il prossimo sono inclusi anche gli Angeli santi, ai quali sono affidati tanti doveri di misericordia nei nostri confronti. Così anche nostro Signore ha voluto essere chiamato nostro prossimo rappresentandosi come colui che ha assistito l’uomo mezzo morto che giaceva lungo la strada.

AMBROGIO: Infatti non è la parentela che rende uno prossimo, ma la misericordia, poiché la misericordia è secondo natura: infatti niente è cosi naturale quanto l’assistere uno che condivide la nostra natura.

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