
ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA – SOLENNITA’.
14 Agosto 2025 / by Padre Angelico / Catechesi / assunzione, cielo, dormitio-mariae, i-tempi-della-chiesa, il-ritorno-di-gesù, madre-di-dio, padre-angelico-maria-moccia, padri-della-chiesa, vergine-maria
ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA – SOLENNITA’
Pax et bonum!
La Vergine Maria non poté morire di morte adamitica perché “il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge” 1Cor 15,56.
La Vergine Maria non conobbe il peccato per tutta la sua vita sin dalla sua Concezione Immacolata, su di lei la morte non cantò vittoria! Lo Spirito Santo esclama per la sua sposa: “Dov’è o morte, la tua vittoria? Dov’è o morte il tuo pungiglione?” 1 Cor 15,55 e questo perché Maria insieme al Figlio ha vinto la morte!
Non morì dunque di morte adamitica la vincitrice sulla morte, ma il suo corpo animale (terrestre), doveva risorgere corpo spirituale, perché è scritto: “E’ seminato nella miseria, risorge nella gloria” 1 Cor 15,43 e per questa ragione si parla di Dormitio Mariae per la Vergine.
Maria si addormentò, cioè subì il processo di trasformazione del suo corpo terreno nello splendore del suo nuovo corpo glorioso. Lasciò la condizione del primo uomo tratto dalla terra e assunse la condizione del secondo uomo che viene dal cielo e che è datore di Spirito di vita.
L’omelia che segue è tratta da quelle di San Giovanni Damasceno e ne evidenzia i tratti salienti degli eventi di cronaca riferiti a questa trasformazione della Vergine: dalla Dormizione all’Assunzione in cielo in corpo glorioso.
Sicuro con la seguente omelia di offrire cibo di contemplazione gradito a tutti, perché riguarda il nostro futuro di figli di Dio che porteremo con tale trasformazione l’immagine dell’uomo celeste rivestiti della luce di Dio.
Impartisco a tutti i lettori la paterna benedizione di Dio e l’invito alla gioia che Maria è segno di sicura speranza
Vostro P. Angelico
Maranathà, Vieni Signore Gesù!
Dalle Omelie sulla Beata Vergine di San Giovanni Damasceno
II Omelia sulla Dormizione
Tradizione della chiesa di Gerusalemme sulla dormizione
La tradizione della chiesa di Gerusalemme sulla dormizione, trasmessa di padre in figlio fin da tempi antichi (ἄυωθευ), è nell’insieme ragionevole per il contenuto delle cose meravigliose che «si sono compiute riguardo alla Santa Madre di Dio». Il Damasceno le «rievoca e le fa rivivere come un quadro d’insieme»…
SECONDO DISCORSO
Non mi par fuori luogo poi, per quanto è possibile, descrivere con la parola, presentare e raffigurare le meraviglie che si sono compiute riguardo a questa santa Madre di Dio. Sono cose che, prese nella giusta misura e, come si dice, con uno sguardo molto generale, abbiamo ricevute e trasmesse da padre in figlio da epoche antiche.
Mi immagino più santa dei santi, più sacra e più venerabile tra quanti sono sacri e venerabili, questa dolce anfora della manna, o meglio e per più vero dire, sorgente della manna, reclinata su di un lettuccio, nella divina e famosa città di David, cioè in Sion illustre e gloriosa, in cui fu adempiuta la legge della lettera e fu annunciata la legge dello spirito; nella quale il Cristo legislatore mise fine alla Pasqua figurativa, e il Dio della antica e della nuova Alleanza ha consegnato la vera Pasqua; nella quale l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo ha iniziato i suoi discepoli al banchetto mistico e per loro ha immolato se stesso quale vitello pingue e ha pigiato il grappolo della vera vite.
Quivi Cristo risuscitato dai morti si fa vedere agli apostoli, e fa sì che Tommaso, e per causa sua l’universo, credano che egli è Dio e Signore, che ha in sé due nature anche dopo il suo ritorno dai morti alla vita, e, corrispondenti a queste, due operazioni e indipendenti decisioni, che perdurano per il tempo infinito. Questa è la rocca delle chiese; questo il luogo di convegno dei discepoli; in essa lo Spirito santissimo discese, tra molto rombare, moltitudine di lingue e apparenza di fuoco e si effuse sugli apostoli. In essa il teologo, il «propugnatore della divinità del Verbo che s’era preso con sé la Madre di Dio, le serviva il necessario. Questa città che è la madre delle chiese sparse su tutta la terra, divenne la residenza della Madre di Dio dopo il ritorno del suo Figlio dai morti.
Quivi pertanto giaceva su d’un tre volte avventurato letto la beata Vergine.
Ma giunto a questo punto il discorso, s’io voglio esporre i miei sentimenti intimi, bruciando ardentissimamente e acceso dalla pace ardente dell’amore, mi sento preso come da un brivido e da lacrime di gioia, come se abbracciassi davvero quel letto beato e amabile, ricolmo di meraviglie, che ha accolto la dimora che fu origine della vita e che al suo contatto ha partecipato alla santità; avevo l’impressione di tenerla con le mie mani questa dimora sacra, sacrosanta e degna di Dio. Gli occhi, le labbra e il viso, il collo e le guance accostati a quelle membra, avevo la sensazione di essere a contatto del corpo come fosse presente, ma per quanto osservassi non potei vedere con gli occhi ciò che desideravo. E come avrei potuto impadronirmi di ciò che è stato elevato ai celesti giardini? Ma di ciò basti così.
Quali furono gli onori resi a lei allora da colui che dispose di onorare i genitori?
Quelli che erano dispersi in ogni luogo della terra per la pesca degli uomini, quelli che con le lingue dalle molte armonie e forme dello Spirito e la rete della parola catturarono gli uomini per portarli dall’abisso dell’errore alla mensa spirituale e celeste del mistico banchetto, alla sacra perfetta vivanda delle nozze spirituali dello sposo celeste che il Padre celebra con una magnificenza tutta regale per il Figlio, a lui uguale in potenza e natura, costoro per un divino ordine, il nembo, come una rete, sollecitò verso Gerusalemme spingendoli e raccogliendoli quali aquile dai confini della terra.
«Dove c’è il cadavere – disse infatti, Cristo, che à la verità – si raduneranno le aquile». E’ certo che questo detto è stato proferito a riguardo della seconda, grandiosa, manifesta parusia e della discesa dal cielo di colui stesso che l’ha pronunciato. Tuttavia non sarà fuori luogo adoperarlo anche qui come per condire il discorso.
Erano, dunque, presenti i testimoni oculari e i servitori della Parola, per prestare i loro servizi alla sua Madre, come era loro dovere, e attingere da lei, magnifica e preziosa eredità, la benedizione. Per chi mai infatti è dubbia l’opinione che essa sia la sorgente della benedizione e la scaturigine di tutti i beni?
Erano con essi presenti i loro compagni e successori, per aver parte del servizio insieme e della benedizione: giacché proporzionati sono i frutti di quelli cui comune è la fatica.
E si era raccolta attorno anche la comunità tutta, eletta di Dio, dei fedeli di Gerusalemme.
Bisognava anche che i principali degli antichi giusti e profeti venissero dappresso per prendere parte a questa scorta sacra, essi che avevano annunciato con chiarezza che da questa donna il Verbo di Dio avrebbe preso carne per noi e sarebbe stato generato per amore degli uomini.
Ma neppure l’assemblea degli angeli era esclusa. Ogni essere soggetto alla volontà del re e degno perciò dell’onore di assisterlo, doveva scortare la sua Madre secondo la carne, la veramente benedetta e beata, la preferibile tra tutte le generazioni e la creazione intera. Tutti erano presso di lei, la lampada balenante dello Spirito che con i raggi scintillanti li illuminava, mentre con rispetto, timore e fermo amore fissavano su di lei il limpido occhio del loro spirito.
Nessun essere faceva eccezione. Perfino l’essere assolutamente unico – che nessun altro essere supera e non è posto secondo a nessuno – si abbassa fino a ogni servizio e lo compie e accetta di farlo.
Allora ci furono parole divinamente ispirate e divine conversazioni; allora si fecero udire inni degni di Dio e celebrativi della dipartita. Bisognava anche in questa circostanza celebrare la bontà più che infinita, la grandezza superiore ad ogni grandezza, la potenza smisurata e la saggezza di Dio a nostro riguardo che è al di sopra di ogni altezza e grandezza, la ricchezza infinita della benevolenza incomprensibile, l’insondabile abisso dell’amore. Bisognava ricordare come, pur non abbandonando la propria maestà, il Verbo è disceso fino all’annichilamento che l’ha sublimato, con il benevolo consenso del Padre e dello Spirito; come il Sovressenziale abbia sorprassostanzialmente preso sostanza da un seno di donna; come egli è Dio ed è divenuto uomo e continua a essere a un tempo l’uno e l’altro; come non si è allontanato dalla sostanza della divinità e, a somiglianza nostra, ha partecipato alla carne e al sangue; come colui che riempie tutto e porta l’universo con la parola della sua propria bocca ha preso dimora in uno stretto spazio; bisognava ricordare come il corpo di questa ammirabile donna, pur essendo di materia e quale la paglia, ha ricevuto il «fuoco divorante» della divinità e, come l’oro genuino, ne rimase inconsumato. Per il volere di Dio si compirono questi prodigi; poiché quando Dio vuole tutto è possibile, niente si può fare se egli non vuole.
Su tali argomenti s’era avviata una gara di parole, non per avanzare gli uni sugli altri – cosa da cervello vanaglorioso e lontano dal gusto di Dio – ma per impegnare tutto l’ardore e la forza nel celebrare Dio e onorare la Madre di Dio.
Allora, allora sì Adamo ed Eva, i progenitori della nostra stirpe, con la gioia sulle labbra hanno gridato forte: «Beata sei tu, o figlia: ci hai dissipato la pena della trasgressione. Tu che da noi hai ereditato un corpo corruttibile, hai portato per noi nel tuo seno una veste di incorruzione. Dai nostri lombi tu hai preso la esistenza, ma a noi hai dato una esistenza felice; hai dissipato i dolori, hai infranto gli avvolgimenti della morte. Hai restaurato la nostra antica abitazione; noi avevamo chiuso il Paradiso, tu ci hai riaperto l’accesso al legno della vita. Dalla felicità per colpa nostra vennero le afflizioni, per merito tuo dalle afflizioni rispunto per noi una felicità più grande. E come potrai tu gustare la morte, tu, la senza macchia? Per te sarà un ponte verso la vita, una scala verso il cielo, la morte sarà un passaggio all’immortalità. Veramente beata sei tu, o beatissima! Chi, infatti, a meno che non sia il Verbo, si è offerto a sopportare ciò che si è appreso che ha compiuto?
Anche tutto il coro dei santi fa risuonare: «Tu hai adempiuto le nostre predizioni; tu ci hai portato la gioia attesa: per te infatti siamo stati liberati dalle catene della morte. Su, vieni presso di noi, o tesoro divino e portatore di vita, vieni a noi che ti desideriamo, tu che hai portato alla méta il nostro desiderio.
Ma la tratteneva con parole non meno valide la moltitudine dei santi che stavano attorno ancora col loro corpo, e le diceva: «Rimani con noi, nostra avvocata, unico conforto nostro sulla terra; non lasciarci orfani, tu, madre, noi che ci esponiamo al pericolo per il tuo Figlio, che insieme soffre. Che ti possiamo avere come riposo delle fatiche e frescura per i nostri sudori! Se tu vuoi restare, ne hai la possibilità, e se desideri toglierti, niente te l’impedisce. Se te ne vai, tu, il tabernacolo di Dio, ci si conceda di partire insieme anche noi, che siamo divenuti, a causa del tuo Figlio, tuo popolo. Sei tu l’unica consolazione che possediamo lasciataci sulla terra. Felice il vivere con te se vivi, il morir con te se muori! Ma che diciamo “se muori”? Per te è vita anche la morte, e vita migliore, che supera senza possibilità di confronti questa vita; ma per noi come è sostenibile la vita, se non abbiamo la tua compagnia?».
Tali erano le preghiere che, io credo, gli apostoli e tutto l’insieme della Chiesa rivolgevano alla beata Vergine. Ma quando videro la Madre di Dio affrettarsi alla dipartita e bramarla, si volsero ai canti propri della migrazione lasciandosi portare dalla grazia divina e prestando la loro bocca allo Spirito. Rapiti fuor della carne e desiderosi di andarsene con la Madre di Dio che se ne andava, con l’intensità del desiderio anticipavano per quanto è possibile la loro dipartita. Dopo che tutti ebbero soddisfatto insieme alla loro brama e al loro dovere, e intrecciarono con i sacri inni una corona dai molti fiori e molti colori, ricevettero la benedizione come un tesoro dato da Dio, e intanto pronunciavano le parole della dipartita e della fine. Proclamavano queste, per quanto io sappia, la fragilità e l’incostanza della presente vita e mettevano in luce i misteri nascosti dei beni futuri.
A questo punto poi, secondo il mio parere, si svolsero alcuni fatti in accordo e naturale conseguenza con questa circostanza: la venuta del Re verso la sua genitrice per accogliere con le sue divine e pure mani la sacra sua anima, chiara e immacolata. Ed ella, com’era naturale, disse: «Nelle tue mani, Figlio mio, pongo il mio spirito. Accogli l’anima a te cara, che tu hai custodita immacolata. A te, non alla terra, io consegno il mio corpo; custodisci illeso questo corpo che ti sei degnato di abitare e che, nel tuo nascere, hai conservato vergine. Portami vicino a te, in modo che dove sei tu, germoglio delle mie viscere, ci sia anch’io, compartecipe della tua abitazione! Mi sento spinta verso di te che sei disceso a me eliminando ogni distanza. Fatti tu stesso il consolatore per la mia dipartita, dei miei amatissimi figli, che ti sei compiaciuto di chiamare fratelli; aggiungi un’altra benedizione a quella che già hanno per l’imposizione delle mie mani». Poi, pronunziate queste parole, elevate le mani, come è naturale, benedisse le persone insieme raccolte, e subito udì: Vieni, benedetta madre mia, «nel mio riposo». «Alzati, vieni, stretta mia amica», la bella tra le donne, «perché ecco l’inverno è passato, il tempo della potatura è giunto». «Bella è la mia amata, e macchia non c’è in te». «Il profumo dei suoi unguenti sorpassa tutti gli aromi».
Udite queste parole, la Santa affida il suo spirito alle mani del Figlio.
E che avviene? Un muoversi, uno sconvolgersi di elementi, io penso, e voci e rumori e strepito e condegni inni di angeli che precedono, accompagnano e seguono, e alcuni attendono a scortare l’anima immacolata e tutta santa e l’accompagnano mentre sale al cielo finché condussero la Regina presso il trono regale; e altri attorniavano il corpo divino e sacro, e celebravano con i loro canti angelici la Madre di Dio. E che facevano quelli che stavano attorno al santissimo e sacratissimo corpo? Con timore e amore e lacrime di gioia abbracciavano, stringevano quel divino e beatissimo tabernacolo, lo abbracciavano, ne baciavano ogni membro, avvicinavano la mano a quel corpo, e a quel contatto si sentivano colmare di santità e di benedizione. Allora sì che le malattie venivano poste in fuga, le torme dei demoni si sbandavano, da ogni parte cacciate nel solo inferno. L’aria, l’etere e il cielo erano santificati per la ascesa dello spirito, la terra per la reposizione del corpo. Ma neppure l’elemento dell’acqua fu esclusa dalla benedizione, perché il corpo vien lavato da un’acqua pura, che non tanto lo purifica, quanto piuttosto ne è santificata. Allora vien restituito perfetto l’udito ai sordi, agli zoppi viene reso sicuro il movimento dei piedi, rinnovata la vista ai ciechi, ai peccatori che si accostano alla fede vengono strappati i decreti di condanna. E poi che cosa? Con puri lini viene avvolto il puro corpo, e di nuovo la Regina è posta sul letto. E poi fiaccole e unguenti, canti funebri, mentre angeli cantano con le voci loro proprie l’inno che più loro si addice, e gli Apostoli e i padri ispirati elevano cantici divini e modulati dallo Spirito.
«Trasporto dell’arca»
Allora, allora sì che l’arca del Signore, levata dal monte di Sion, posta sulle spalle gloriose degli Apostoli, è trasportata, passando per la tomba, al tempio celeste. E prima è condotta attraverso la città, quale bellissima sposa, adorna dello splendore irraggiungibile dello Spirito, e così vien condotta nell’orto santissimo del Getsemani, mentre angeli la precedono, la seguono e la coprono con le loro ali in compagnia con tutta l’assemblea della chiesa.
E come il re Salomone per la riposizione dell’arca nel tempio del Signore, che lui stesso aveva edificato, convocò «tutti gli anziani di Israele in Sion, per portare l’arca dell’alleanza del Signore dalla città di David, Sion, e levarono i sacerdoti l’arca e il tabernacolo della testimonianza, e li portarono i sacerdoti e i leviti; e il re e tutto il popolo davanti all’arca sacrificavano buoi e montoni innumerevoli; e portarono i sacerdoti l’arca dell’alleanza del Signore al suo posto, nel Dabir dell’edificio, nel Santo dei santi, sotto le ali dei Cherubini »; così anche ora per far riposare l’arca spirituale, non dell’alleanza del Signore, ma della stessa Persona del Verbo di Dio, proprio il novello Salomone, il principe della pace e architetto dell’universo ha convocato oggi le schiere sopramondane degli spiriti celesti e quelli che nella nuova alleanza sono in prima fila, gli apostoli dico, con tutto il popolo dei fedeli di Gerusalemme; e per opera degli angeli introduce l’anima nel Santo dei santi, archetipo vero e celeste, sotto le ali stesse degli animali dal quadruplice aspetto, e la collocò presso il proprio trono, all’interno del velario, dove precursore è entrato Cristo con il corpo. Il corpo poi è portato processionalmente dalle braccia degli Apostoli mentre il Re dei re lo avvolge dello splendore della invisibile divinità, e l’assemblea tutta dei fedeli le cammina dinanzi, emette sacre acclamazioni e offre «un sacrificio di lode», fino a che viene riposto nella tomba come in un talamo e, attraverso essa, nella delizia dell’Eden e nei tabernacoli celesti.
Leggenda del profanatore del corpo della Vergine
Per caso erano presenti anche dei Giudei, di quelli che non erano del tutto insipienti. Non è stravagante mescolare alla nostra esposizione, come un’aggiunta al condimento, quanto corre sulle labbra di molti. Dicono pertanto che quando quelli che portavano il beato corpo della Madre di Dio furono presso alla discesa del pendio del monte, un Ebreo schiavo del peccato e legato da un patto all’errore, imitando il domestico di Caifa che schiaffeggiò il volto sovrano e divino del Cristo nostro Dio, e divenuto strumento del diavolo, spinto da un assalto violento e insensato e da un demoniaco furore si scagliò contro quel divinissimo tabernacolo, a cui timorosi si accostavano gli angeli; con ambo le mani, stravolto dalla follia e forsennato, afferrò il letto e tentò di tirarlo a terra: anche questo, un attacco dell’invidia del principe del male. Ma lo prevenne il frutto dei suoi sforzi, ed egli vendemmiò un grappolo aspro e degno della sua decisione. Raccontano che quel tale abbia perduto le mani; e si poté veder improvvisamente apparire senza mani l’autore di quell’insensata audacia, finché rivolse il pensiero alla fede e al pentimento. Senza indugio infatti quelli che portavano il letto si fermarono e quel disgraziato, accostati i moncherini al tabernacolo, principio di vita e generatore di portenti, da mutilo ritorna sano. Anche la disgrazia per lo più sa generare sane e salutari decisioni. Ma ritorniamo a quanto ci resta.
Assunzione corporea.
Procedendo, il corpo vien portato all’orto santissimo del Getsemani. Di nuovo baci, abbracci, di nuovo lodi e inni sacri, invocazioni e lagrime e rivoli scorrenti di sudore per l’agonia e il dolore. E così il santissimo corpo viene posto nel gloriosissimo e nobile monumento; di là al terzo giorno viene elevato alle dimore celesti.
Motivi di convenienza dell’Assunzione
Bisognava certo che questa dimora degna di Dio, la fonte non scavata dell’acqua del perdono, la terra che senza essere arata dà il pane celeste, la vite che senz’essere irrigata dà l’uva dell’immortalità, l’olivo sempre verdeggiante e dagli splendidi frutti della misericordia del Padre, non rimanesse chiusa nelle cavità della terra. Ma a quel modo che il corpo santo e puro che il Verbo divino da lei assunse per unirselo ipostaticamente, il terzo giorno risorse dal sepolcro, così senz’altro era giusto che anche costei fosse strappata dalla tomba e la madre fosse congiunta al figlio, e, come egli era disceso a lei, così ella, la prediletta, fosse trasportata «nel tabernacolo più ampio e più perfetto, fino proprio al cielo».
Bisognava che colei che aveva ospitato il Verbo divino, prendesse dimora nei tabernacoli del suo Figlio. E come il Signore aveva detto che egli si doveva trovare nella dimora del suo proprio Padre, bisognava che anche la madre dimorasse nella reggia del Figlio «nella casa del Signore e negli atri della casa del Dio nostro». Perché, se in lui è «la dimora di tutti quanti sono in letizia», dove mai dimorerà la causa della letizia?
Bisognava che fosse conservato incorrotto anche dopo la morte il corpo di colei che aveva custodita intatta la verginità nel generare.
Bisognava che colei che aveva nel suo seno portato sotto forma di infante il Creatore, soggiornasse nei tabernacoli divini.
Bisognava che colei che il Padre s’era scelta come sposa, conducesse la vita nei celesti talami.
Bisognava che colei che aveva levato gli occhi verso suo Figlio in croce, ricevendo così in cuore la spada del dolore da cui era stata esente nel generare, lo contemplasse anche seduto presso il Padre.
Bisognava che la Madre di Dio venisse in possesso dei beni del Figlio e da tutta la creazione fosse venerata qual Madre e ancella di Dio. Normalmente infatti l’eredità scende dai genitori ai figli, ma qui, come si espresse un sapiente, i rivi dei fiumi sacri scorrono all’insù; poiché il Figlio ha sottomesso al servizio della Madre tutta la creazione…